ORDINANZA
DELLA CORTE (Settima Sezione)
«Appalti
pubblici di lavori – Direttiva 93/37/CEE – Articolo 6 – Principi di parità di
trattamento e di trasparenza – Ammissibilità di una normativa che limita la
partecipazione delle gare d’appalto alle società che esercitano un’attività
commerciale, con esclusione delle società semplici – Fini istituzionali e
statutari – Imprese agricole»
Nella causa
C‑502/11,
avente ad
oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, ai sensi
dell’articolo 267 TFUE, dal Consiglio di Stato, con decisione del 21
settembre 2011, pervenuta in cancelleria il 30 settembre 2011, nel procedimento
Vivaio dei
Molini Azienda Agricola Porro Savoldi
contro
Autorità per
la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture
con
l’intervento di:
SOA CQOP
Costruttori Qualificati Opere Pubbliche SpA,
Unione
Provinciale Agricoltori di Brescia,
LA CORTE
(Settima Sezione),
composta dal
sig. J. Malenovský, presidente di sezione, e dai
sigg. T. von Danwitz (relatore) e D. Šváby, giudici,
avvocato
generale: sig. J. Mazák
cancelliere:
sig. A. Calot Escobar
intendendo
statuire con ordinanza motivata in conformità dell’articolo 104, paragrafo 3,
primo comma, del suo regolamento di procedura,
sentito
l’avvocato generale,
ha emesso la
seguente
Ordinanza
1 La
domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione dell’articolo 6
della direttiva 93/37/CEE del Consiglio, del 14 giugno 1993, che coordina le
procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di lavori
(GU L 199, pag. 54), come modificata dalla direttiva 2001/78/CE
della Commissione, del 13 settembre 2001 (GU L 285, pag. 1; in
prosieguo: la «direttiva 93/37»).
2 Tale
domanda è stata presentata nell’ambito di una controversia tra la Vivaio dei
Molini Azienda Agricola Porro Savoldi (in prosieguo: la «Savoldi»), società
costituita nella forma di una società semplice, e l’Autorità per la vigilanza
sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture (in prosieguo:
l’«Autorità»), vertente sulla revoca dell’attestazione di cui beneficiava tale
società al fine di poter partecipare alle gare d’appalto.
Contesto normativo
La normativa dell’Unione
3 L’articolo
6 della direttiva 93/37, che figurava al titolo primo della stessa, rubricato
«Disposizioni generali», conteneva un paragrafo 6 che enunciava quanto segue:
«Le amministrazioni aggiudicatrici
provvedono affinché non vi siano discriminazioni fra i vari imprenditori».
4 Il
titolo IV di tale direttiva, dedicato alle «[n]orme comuni di partecipazione»,
conteneva un capitolo 1, intitolato «Disposizioni generali», che comprendeva
l’articolo 21, così formulato:
«I
raggruppamenti di imprenditori sono autorizzati a presentare offerte. La
trasformazione di tali raggruppamenti in una forma giuridica determinata non
può essere richiesta per la presentazione dell’offerta, ma il raggruppamento
prescelto può essere obbligato ad assicurare tale trasformazione quando
l’appalto gli è stato aggiudicato».
5 L’articolo
24 della suddetta direttiva, inserito nel capitolo 2 di detto titolo, rubricato
«Criteri di selezione qualitativa», così disponeva al suo primo comma:
«Può
essere escluso dalla partecipazione all’appalto ogni imprenditore:
a) che
sia in stato di fallimento, di liquidazione, di cessazione d’attività, di
regolamento giudiziario o di concordato preventivo o in ogni altra analoga
situazione risultante da una procedura della stessa natura prevista dalle
legislazioni e regolamentazioni nazionali;
b) relativamente
al quale sia in corso una procedura di dichiarazione di fallimento, di
amministrazione controllata, di concordato preventivo oppure ogni altra
procedura della stessa natura prevista dalle legislazioni e regolamentazioni
nazionali;
c) nei
confronti del quale sia stata pronunziata una condanna, con sentenza passata in
giudicato, per qualsiasi reato che incida sulla sua moralità professionale;
d) che,
in materia professionale, abbia commesso un errore grave, accertato mediante
qualsiasi mezzo di prova addotto dall’amministrazione aggiudicatrice;
e) che
non sia in regola con gli obblighi relativi al pagamento dei contributi di
sicurezza sociale secondo le disposizioni legali del paese dove egli è
stabilito o del paese dell’amministrazione aggiudicatrice;
f) che
non sia in regola con gli obblighi relativi al pagamento delle imposte e delle
tasse secondo le disposizioni legali del paese dove egli è stabilito o del
paese dell’amministrazione aggiudicatrice;
g) che
si sia reso gravemente colpevole di false dichiarazioni nel fornire le informazioni
che possono essere richieste in applicazione del presente capitolo».
6 Ai
sensi dell’articolo 26 della direttiva 93/37, contenuto all’interno del
medesimo capitolo:
«1. La
prova della capacità finanziaria ed economica dell’imprenditore può essere
fornita di norma mediante una o più delle referenze seguenti:
a) idonee
dichiarazioni bancarie;
b) presentazioni
di bilanci o di estratti dei bilanci dell’impresa quando la pubblicazione dei
bilanci è prescritta dalla legislazione del paese dove l’imprenditore è
stabilito;
c) dichiarazione
concernente la cifra d’affari, globale e in lavori, dell’impresa per i tre
ultimi esercizi.
2. Le
amministrazioni aggiudicatrici precisano nel bando di gara o nell’invito a
presentare l’offerta quale o quali delle referenze sopra menzionate hanno
scelto e le altre referenze probanti, diverse da quelle di cui alle lettere a),
b) e c), che intendono ottenere.
3. Se
per una ragione giustificata l’imprenditore non è in grado di dare le referenze
chieste dall’amministrazione aggiudicatrice, egli è ammesso a provare la
propria capacità economica e finanziaria mediante qualsiasi altro documento
considerato idoneo dall’amministrazione aggiudicatrice».
La normativa italiana
7 La
legge quadro n. 109 in materia di lavori pubblici dell’11 febbraio 1994
(Supplemento ordinario alla GURI n. 41, del 19 febbraio 1994; in
prosieguo: la «legge n. 109/1994»), come risulta dall’ordinanza di rinvio,
all’articolo 10, rubricato «Soggetti ammessi alle gare», prevedeva quanto
segue:
«1. Sono
ammessi a partecipare alle procedure di affidamento dei contratti pubblici i
seguenti soggetti, salvo i limiti espressamente indicati:
a) gli
imprenditori individuali, anche artigiani, le società commerciali, le società
cooperative;
(…)».
8 Ai
sensi dell’articolo 2082 del codice civile, intitolato «Imprenditore»:
«È imprenditore chi esercita professionalmente una
attività economica organizzata al fine della produzione o dello scambio di beni
o di servizi».
9 L’articolo
2135 dello stesso codice, nel testo risultante dall’articolo 1 del decreto
legislativo n. 228 del 18 maggio 2001, così dispone sotto la rubrica
«Imprenditore agricolo»:
«È
imprenditore agricolo chi esercita una delle seguenti attività: coltivazione
del fondo, selvicoltura, allevamento di animali e attività connesse.
(...)».
10 L’articolo 2195
del codice civile, rubricato «Imprenditori soggetti a registrazione», fornisce
l’indicazione delle categorie di imprenditori che si considerano esercitare
attività commerciali. Esso è del seguente tenore:
«Sono
soggetti all’obbligo dell’iscrizione nel registro delle imprese gli
imprenditori che esercitano:
1) un’attività
industriale diretta alla produzione di beni o di servizi;
2) un’attività
intermediaria nella circolazione dei beni;
3) un’attività
di trasporto per terra, per acqua o per aria;
4) un’attività
bancaria o assicurativa;
5) altre
attività ausiliarie delle precedenti.
Le disposizioni della legge che
fanno riferimento alle attività e alle imprese commerciali si applicano, se non
risulta diversamente, a tutte le attività indicate in questo articolo e alle
imprese che le esercitano».
11 L’articolo 2249
del codice civile, rubricato «Tipi di società», dispone quanto segue:
«Le
società che hanno per oggetto l’esercizio di un’attività commerciale devono
costituirsi secondo uno dei tipi regolati nei capi III e seguenti di questo
titolo.
Le società che hanno per oggetto l’esercizio di un’attività diversa sono
regolate dalle disposizioni sulla società semplice, a meno che i soci abbiano
voluto costituire la società secondo uno degli altri tipi regolati nei capi III
e seguenti di questo titolo.
Sono salve le disposizioni riguardanti le società
cooperative e quelle delle leggi speciali che per l’esercizio di particolari
categorie d’imprese prescrivono la costituzione della società secondo un
determinato tipo».
12 Gli articoli 2251‑2290
del codice civile disciplinano la società semplice. Secondo una consolidata
interpretazione di diritto interno, la società semplice può essere costituita
soltanto per l’esercizio di attività non commerciali – ossia per attività
diverse da quelle menzionate dall’articolo 2195 del codice civile –, nel cui
ambito viene tradizionalmente ricondotto l’esercizio delle attività agricole.
Quindi, nella prassi nazionale, la forma della società semplice è solitamente
riferita, anche se in modo non esclusivo, alla figura dell’imprenditore
agricolo di cui all’articolo 2135 di detto codice.
Procedimento principale e questioni pregiudiziali
13 La Savoldi è un
«imprenditore agricolo» ai sensi dell’articolo 2135 del codice civile,
costituito nella forma della società semplice ai sensi degli articoli 2251 e
seguenti dello stesso codice.
14 Durante
il periodo in cui l’ordinamento italiano prevedeva, ai fini della
partecipazione alle gare per appalti pubblici di lavori, l’iscrizione all’albo
nazionale dei costruttori, in applicazione della legge n. 57 del 10
febbraio 1962, la Savoldi aveva ottenuto l’iscrizione a tale albo nella
categoria S1, avente ad oggetto opere di «movimento terra, demolizioni, sterri,
sistemazione agraria e forestale, verde pubblico e relativo arredo urbano».
15 A seguito della
soppressione, il 1° gennaio 2000, del sistema basato sull’albo, è stato
istituito un sistema diffuso di qualificazione delle imprese che intendono
partecipare alle pubbliche gare d’appalto. La gestione di tale sistema è stata
affidata a società private, le società organismi di attestazione (in prosieguo:
le «SOA»), che, fra l’altro, verificano ex ante la sussistenza in capo a
ciascun operatore dei requisiti per la partecipazione alle pubbliche gare
d’appalto. Le SOA sono sorvegliate dall’Autorità.
16 Con comunicazione
n. 42/04, del 24 novembre 2004, l’Autorità ha vietato alle SOA di
rilasciare l’attestazione per la partecipazione alle pubbliche gare d’appalto
in favore delle società semplici.
17 Con atto del 3
agosto 2005, l’Autorità ha chiesto alla SOA CQOP Costruttori Qualificati Opere
Pubbliche SpA le ragioni per cui aveva ritenuto di poter rilasciare alla
Savoldi un’attestazione, nonostante il contenuto della comunicazione
n. 42/04, che vieta in maniera generale la concessione di una siffatta
attestazione a società costituite in tale forma.
18 Con decisione del
9 settembre 2005, la SOA CQOP Costruttori Qualificati Opere Pubbliche SpA ha
revocato l’attestazione rilasciata alla Savoldi, che, di conseguenza, ha
proposto un ricorso dinanzi al Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio.
19 Quest’ultimo,
con sentenza n. 1206/06, ha respinto tale ricorso, ritenendo che
l’articolo 10 della legge n. 109/1994 consenta la partecipazione alle
pubbliche gare d’appalto solamente alle società commerciali e non anche alle
società semplici, le quali non svolgono in via ordinaria e prevalente attività
commerciale. Infatti, queste ultime non possono essere considerate «imprese»,
in quanto non esercitano, in generale, le attività commerciali previste
all’articolo 2195 del codice civile.
20 La Savoldi ha
proposto appello avverso detta sentenza dinanzi al Consiglio di Stato, facendo
valere argomenti vertenti sulla violazione del diritto interno e del diritto
dell’Unione.
21 Dopo aver respinto
gli argomenti relativi al diritto interno, il Consiglio di Stato ritiene che
l’esito della controversia ad esso sottoposta dipenda dall’interpretazione che
occorre fornire all’articolo 6, paragrafo 6, della direttiva 93/37.
22 A tale riguardo,
esso ritiene che il diritto dell’Unione osti, in linea di principio, a una
disposizione quale l’articolo 10 della legge n. 109/1994, che vieta a una
persona giuridica avente natura di «imprenditore» ai sensi del diritto
dell’Unione di partecipare alle gare d’appalto.
23 Per contro, il
Consiglio di Stato si chiede, facendo riferimento alla sentenza del 16 dicembre
2008, Michaniki (C‑213/07, Racc. pag. I‑9999), se l’esclusione
discussa nella fattispecie non possa considerarsi conforme al diritto
dell’Unione alla luce della giurisprudenza della Corte che riconosce agli Stati
membri un certo margine discrezionale nell’adozione delle misure destinate a
garantire il rispetto dei principi della parità di trattamento e di
trasparenza.
24 A tale riguardo,
il Consiglio di Stato ricorda che, secondo la giurisprudenza nazionale, il
divieto per le società semplici di partecipare alle pubbliche gare d’appalto è
considerato ragionevole e non discriminatorio, in quanto giustificato dalla
natura e dalla particolare disciplina di tali società.
25 Infatti, secondo
tale giudice, la normativa nazionale non prescrive, anzitutto, per la società
semplice, il possesso di un capitale o di un patrimonio minimo. Inoltre, nei
confronti dei creditori di una simile società, risponderebbero dei debiti
solamente, da un lato, il patrimonio della società – il quale può, tuttavia,
essere di ammontare ridottissimo e del tutto insufficiente a soddisfare le
pretese dei creditori – e, dall’altro, salvo patto contrario, i soci che hanno
agito in nome e per conto della società. Infine, la normativa fallimentare
italiana escluderebbe in linea di principio la società semplice dal fallimento,
in quanto essa non esercita attività commerciale.
26 Il
Consiglio di Stato si chiede altresì, richiamandosi alla sentenza del 23
dicembre 2009, CoNISMa (C‑305/08, Racc. pag. I‑12129), se il
legislatore nazionale possa limitare la capacità giuridica di determinati
operatori – come quelli costituiti nella forma di una società semplice, che
dovrebbero essere considerati «imprenditori» ai sensi della direttiva 93/37 –,
non consentendo loro di partecipare a gare d’appalto riguardanti diverse
prestazioni, in ragione del fatto che tali prestazioni sarebbero incompatibili
con i fini istituzionali e statutari di tali operatori.
27 In
tali circostanze, il Consiglio di Stato
ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti
questioni pregiudiziali:
«1) Se
l’ordinamento comunitario e, segnatamente, l’articolo 6 della direttiva 93/37
(...) osti in via di principio a una previsione normativa nazionale [quale
l’art. 10, comma 1, lettera a), della legge [n. 109/1994] (...)], il
quale limita alle sole società che esercitano attività commerciali la
possibilità di partecipare alle procedure di affidamento dei contratti
pubblici, in tal modo escludendo taluni imprenditori (quali le società
semplici) che non esercitano in via ordinaria e prevalente siffatta tipologia
di attività; ovvero se il divieto in questione risulti ragionevole e non
discriminatorio alla luce della particolare disciplina e del peculiare regime
patrimoniale delle società semplici.
2) [In caso di
risposta negativa alla prima questione: s]e l’ordinamento comunitario e,
segnatamente, l’articolo 6 della direttiva 93/37 (...) nonché il principio
della libertà della forma giuridica dei soggetti ammessi a partecipare alle
gare consenta al legislatore nazionale di limitare la capacità giuridica di un
imprenditore (...), in considerazione delle peculiarità che caratterizzano la
disciplina nazionale di tale imprenditore, precludendo allo stesso di
partecipare alle gare pubbliche di appalto, ovvero se una tale limitazione
risulti violativa dei principi di ragionevolezza e non discriminazione».
Sulle questioni pregiudiziali
28 Ai
sensi dell’articolo 104, paragrafo 3, primo comma, del suo regolamento di
procedura, qualora la risposta ad una questione pregiudiziale possa essere
chiaramente desunta dalla giurisprudenza, la Corte, dopo aver sentito
l’avvocato generale, può statuire in qualsiasi momento con ordinanza motivata.
29 Con le sue
questioni, che occorre esaminare congiuntamente, il giudice del rinvio chiede,
in sostanza, se il diritto dell’Unione, e segnatamente l’articolo 6 della
direttiva 93/37, osti ad una normativa nazionale, come quella di cui al
procedimento principale, che vieta a una società semplice, qualificabile come
«imprenditore» ai sensi della direttiva 93/37, di partecipare alle gare
d’appalto esclusivamente a causa della sua forma giuridica.
30 A tale
riguardo, il giudice del rinvio si interroga, più precisamente, sulla
possibilità di giustificare una siffatta esclusione generale dalla
partecipazione alle gare d’appalto alla luce dei principi di parità di
trattamento e di trasparenza, o sulla base della circostanza che la
partecipazione alle gare d’appalto dovrebbe considerarsi incompatibile con i
fini istituzionali e statutari di una società semplice.
31 Per
fornire una risposta a tali interrogativi, occorre rammentare che la Corte ha
dichiarato che uno degli obiettivi della normativa dell’Unione in materia di
appalti pubblici è costituito dall’apertura alla concorrenza nella misura più
ampia possibile e che è nell’interesse del diritto dell’Unione che venga
garantita la partecipazione più ampia possibile di offerenti ad una gara
d’appalto. È d’uopo aggiungere, in proposito, che tale apertura alla
concorrenza più ampia possibile è prevista non soltanto con riguardo
all’interesse dell’Unione alla libera circolazione dei prodotti e dei servizi,
bensì anche nell’interesse stesso dell’amministrazione aggiudicatrice
considerata, la quale disporrà così di un’ampia scelta circa l’offerta più
vantaggiosa e più rispondente ai bisogni della collettività pubblica
interessata (sentenza CoNISMa, cit., punto 37 e la giurisprudenza ivi citata).
32 Analogamente,
la Corte ha dichiarato che la normativa dell’Unione osta a qualsiasi normativa
nazionale che escluda dall’aggiudicazione di appalti pubblici di servizi, il
cui valore superi la soglia di applicazione delle direttive, candidati od
offerenti autorizzati, in base alla normativa dello Stato membro nel quale sono
stabiliti, ad erogare il servizio in questione per il solo motivo che tali
candidati od offerenti non hanno la forma giuridica corrispondente ad una
determinata categoria di persone giuridiche (sentenza CoNISMa, cit., punto 39 e
la giurisprudenza ivi citata).
33 Infine, in base
alla giurisprudenza della Corte, la normativa dell’Unione non richiede che il
soggetto che stipula un contratto con un’amministrazione aggiudicatrice sia in
grado di realizzare direttamente con mezzi propri la prestazione pattuita perché
il medesimo possa essere qualificato come imprenditore, ossia come operatore
economico. È sufficiente che tale soggetto abbia la possibilità di fare
eseguire la prestazione di cui trattasi, fornendo le garanzie necessarie a tal
fine (sentenza CoNISMa, cit., punto 41 e la giurisprudenza ivi citata).
34 Di conseguenza,
sia dalla normativa dell’Unione sia dalla giurisprudenza della Corte risulta
che è ammesso a presentare un’offerta o a candidarsi qualsiasi soggetto o ente
che, considerati i requisiti indicati in un bando di gara, si reputi idoneo a
garantire l’esecuzione di detto appalto, in modo diretto oppure facendo ricorso
al subappalto, indipendentemente dal suo status nonché dal fatto di essere
attivo sul mercato in modo sistematico oppure soltanto occasionale. L’effettiva
capacità di detto ente di soddisfare i requisiti posti dal bando di gara è
valutata durante una fase ulteriore della procedura (v. sentenza CoNISMa, cit.,
punto 42 e la giurisprudenza ivi citata).
35 Dalle suesposte
considerazioni risulta che non si può vietare, per principio, a un
«imprenditore» ai sensi della direttiva 93/37 di partecipare a gare d’appalto
esclusivamente a causa della sua forma giuridica.
36 Orbene, il giudice
del rinvio si chiede se dalle citate sentenze Michaniki e CoNISMa emerga che,
in deroga al principio secondo cui non può essere imposta alcuna forma
giuridica determinata, l’esclusione delle società semplici dalla partecipazione
alle gare d’appalto sia ammissibile. A tale proposito il giudice del rinvio si
interroga, da un lato, sulla portata dei principi di parità di trattamento e di
trasparenza e, dall’altro, sull’importanza dei fini istituzionali e statutari
delle società semplici per determinare la loro capacità a partecipare alle gare
d’appalto.
37 Quanto ai
principi di parità di trattamento e di trasparenza, secondo costante
giurisprudenza, l’elenco tassativo di cui all’articolo 24, primo comma, della
direttiva 93/37 delle cause di esclusione di un imprenditore dalla partecipazione
ad un appalto fondate su elementi oggettivi, concernenti le qualità
professionali di tale soggetto, non esclude la facoltà degli Stati membri di
mantenere o di adottare norme materiali dirette, in particolare, a garantire,
in materia di appalti pubblici, il rispetto del principio di parità di
trattamento, nonché del principio di trasparenza che quest’ultimo implica, i
quali s’impongono alle amministrazioni aggiudicatrici in tutte le procedure di
aggiudicazione di un siffatto appalto (sentenza Michaniki, cit., punto 44 e la
giurisprudenza ivi citata).
38 Detti principi,
che implicano, in particolare, che gli offerenti debbano trovarsi su un piano
di parità sia al momento in cui preparano le loro offerte sia al momento in cui
queste ultime sono valutate dall’amministrazione aggiudicatrice, costituiscono,
infatti, la base delle direttive relative ai procedimenti di aggiudicazione
degli appalti pubblici, e l’obbligo delle amministrazioni aggiudicatrici di
assicurarne il rispetto corrisponde all’essenza stessa di tali direttive
(sentenza Michaniki, cit., punto 45 e la giurisprudenza ivi citata).
39 L’articolo 6,
paragrafo 6, della direttiva 93/37 precisa del resto che le amministrazioni
aggiudicatrici provvedono affinché non vi siano discriminazioni tra i vari
imprenditori (sentenza Michaniki, cit., punto 46).
40 Ne consegue che
uno Stato membro ha il diritto di prevedere, in aggiunta alle cause di
esclusione fondate su considerazioni oggettive di qualità professionale,
tassativamente elencate all’articolo 24, primo comma, della direttiva 93/37,
misure di esclusione destinate a garantire il rispetto dei principi di parità
di trattamento di tutti gli offerenti, nonché di trasparenza, nel contesto
delle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici (sentenza Michaniki,
cit., punto 47).
41 In
tale contesto, quindi, occorre riconoscere a ciascuno Stato membro un certo
margine di discrezionalità ai fini dell’adozione di provvedimenti destinati a
garantire i principi di parità di trattamento degli offerenti e di trasparenza
(sentenza Michaniki, cit., punto 55).
42 Infatti,
ogni Stato membro è nella posizione migliore per individuare, alla luce di
considerazioni di ordine storico, giuridico, economico o sociale che gli sono
proprie, le situazioni favorevoli alla comparsa di comportamenti idonei a
provocare violazioni del rispetto di tali principi (v. sentenza Michaniki,
cit., punto 56).
43 Tuttavia,
gli obiettivi perseguiti nel caso di specie dalla normativa italiana non
possono giustificare, a titolo dei principi di parità di trattamento e di
trasparenza, l’esclusione, per principio, delle società semplici dalla
partecipazione alle gare d’appalto.
44 Infatti,
nessun elemento del fascicolo consente di concludere che determinate
caratteristiche delle società di cui al procedimento principale possano essere
idonee a ledere, nel corso della procedura di aggiudicazione degli appalti
pubblici, i principi di trasparenza e di parità di trattamento.
45 A tale
riguardo occorre sottolineare che dalla decisione di rinvio emerge che le
società semplici si caratterizzano, rispetto alle società commerciali, per
l’assenza di un capitale minimo, per la responsabilità, in linea di principio,
limitata ai soci che hanno agito in nome e per conto della società nonché per
l’esclusione dalle procedure fallimentari. Orbene, non può ritenersi che, a
causa di tali caratteristiche, la partecipazione delle società semplici alle
procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici possa essere idonea a ledere
i principi di trasparenza e di non discriminazione.
46 Quanto alla
questione della possibilità di ammettere una deroga al principio secondo cui
non può essere imposta alcuna forma giuridica determinata per la partecipazione
alle gare d’appalto, a causa di un’eventuale incompatibilità derivante dai
limiti inerenti agli obiettivi istituzionali e statutari di società quali le
società semplici, occorre richiamare la giurisprudenza pertinente della Corte.
47 Secondo tale
giurisprudenza, è pur vero che gli Stati membri possono disciplinare le
attività di soggetti, quali le università e gli istituti di ricerca, non aventi
finalità di lucro, ma volte principalmente alla didattica e alla ricerca. In
particolare, essi possono autorizzare o non autorizzare tali soggetti ad
operare sul mercato in funzione della circostanza che l’attività in questione
sia compatibile, o meno, con i loro fini istituzionali e statutari (sentenza
CoNISMa, cit., punto 48).
48 Tuttavia,
occorre sottolineare che l’attività degli imprenditori agricoli costituiti
nella forma della società semplice consiste, conformemente all’articolo 2135
del codice civile, nella «coltivazione del fondo, [nella] selvicoltura,
[nell’]allevamento di animali e [nelle] attività connesse». Inoltre, secondo le
osservazioni scritte del governo italiano, le società semplici possono altresì
svolgere attività «commerciale», purché essa sia accessoria e complementare
all’attività principale, come emerge dal citato articolo 2135.
49 Tali
società, quindi, perseguono incontestabilmente una finalità di lucro, ragion
per cui non possono essere assimilate ad enti quali le università e gli
istituti di ricerca, oggetto della citata sentenza CoNISMa, per i quali la
Corte ha riconosciuto la facoltà degli Stati membri di autorizzarli o meno ad
operare sul mercato.
50 In tali
circostanze, la giurisprudenza derivante dalla citata sentenza CoNISMa non può
consentire di derogare, per società quali le società semplici, al principio
secondo cui non può essere imposta alcuna forma giuridica determinata ai fini
della partecipazione alle gare d’appalto.
51 Alla luce
dell’insieme delle suesposte considerazioni, occorre rispondere ai quesiti
posti che il diritto dell’Unione, e segnatamente l’articolo 6 della direttiva
93/37, osta ad una normativa nazionale, come quella di cui al procedimento
principale, che vieta a una società quale una società semplice, qualificabile
come «imprenditore» ai sensi della direttiva 93/37, di partecipare alle gare
d’appalto esclusivamente a causa della sua forma giuridica.
Sulle spese
52 Nei confronti
delle parti nel procedimento principale la presente causa costituisce un
incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire
sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni
alla Corte non possono dar luogo a rifusione.
Per questi motivi, la Corte (Settima Sezione)
dichiara:
Il diritto dell’Unione, e segnatamente l’articolo 6 della direttiva 93/37/CEE
del Consiglio, del 14 giugno 1993, che coordina le procedure di aggiudicazione degli
appalti pubblici di lavori, come modificata dalla direttiva 2001/78/CE della
Commissione, del 13 settembre 2001, osta ad una normativa nazionale, come
quella di cui al procedimento principale, che vieta a una società quale una
società semplice, qualificabile come «imprenditore» ai sensi della direttiva
93/37, di partecipare alle gare d’appalto esclusivamente a causa della sua
forma giuridica.
Firme