REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte
(Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
FATTO
Omissis
1.1 Il 28 e 29 marzo 2010 si sono tenute in Piemonte le elezioni
amministrative per l’elezione del Presidente della Regione e del Consiglio
Regionale.
I risultati della procedura elettorale sono stati trasfusi nel verbale
dell’Ufficio Elettorale Centrale del 9 aprile 2010, dal quale è risultata la proclamazione
a Presidente della Regione Piemonte di Roberto Cota, avendo questi conseguito
un numero di voti pari a 1.042.483, con un divario di 9.157 preferenze (pari
allo 0,4%) rispetto ai 1.033.326 voti ottenuti dalla presidente uscente
Mercedes Bresso.
1.2 Quest’ultima, agendo in proprio e in qualità di candidato presidente
della coalizione di centro sinistra, nonché di candidata capolista del listino
regionale “Uniti per Bresso”, e Luigina Staunovo Polacco, agendo in proprio e
in qualità di coordinatrice del partito “Pensionati e invalidi”, hanno
impugnato, con ricorso depositato in data 7 maggio 2010 e successivo atto di
motivi aggiunti, il predetto atto di proclamazione degli eletti e il
presupposto provvedimento di ammissione della lista “Pensionati per Cota”,
collegata con il candidato alla carica di Presidente della Giunta Regionale
risultato vincitore, deducendo in premessa le seguenti circostanze di fatto:
- tra le liste collegate al candidato presidente Cota figurava la
menzionata lista “Pensionati per Cota”, presente in tutte le circoscrizioni
elettorali del Piemonte e promossa dal Consigliere Regionale del Piemonte
Michele Giovine, in qualità di presidente del "Gruppo regionale del
Piemonte Consumatori”;
- detta lista aveva riportato un totale di 27.892 voti validi a livello
regionale (di cui 15.805 voti nella sola circoscrizione elettorale della
Provincia di Torino), superiore allo scarto registrato all’esito delle elezioni
tra le due principali coalizioni in lizza;
- anche nella circoscrizione elettorale della Provincia di Torino era stata
presentata una lista “Pensionati per Cota”, recante i nominativi di 19
candidati e premiata da un consenso di 15.805 preferenze;
- l’autenticazione delle dichiarazioni di accettazione delle relative
candidature era stata effettata dallo stesso Michele Giovine, dal di lui padre
Giovine Carlo e dalla di lui madre Trigila Sebastiana, in qualità,
rispettivamente, di consigliere comunale del Comune di Gurro (VCO), del Comune
di Miasino (NO) e del Comune di Monastero Bormida (AT), ai sensi dell’art. 14
L. 21 marzo 1990, n. 53;
- detta norma abilita il consigliere comunale ad esercitare, nel territorio
del comune ove ricopre la carica elettiva, le funzioni di pubblico ufficiale
autenticatore delle sottoscrizioni dei candidati;
- plurimi elementi inducevano le ricorrenti a ritenere che almeno 11 delle
19 sottoscrizioni di accettazione delle candidature, relative alla lista
“Pensionati per Cota” per la Provincia di Torino, fossero false; e che il
disposto dell’art. 14 L. 53/1990 non fosse stato rispettato, ovvero che i tre
citati consiglieri comunali avessero falsamente attestato di avere effettuato
le autentiche negli ambiti territoriali di rispettiva competenza, nel quale
ricoprivano la carica di consigliere comunale. Analogo sospetto veniva esteso
alle modalità di presentazione della lista “Pensionati per Cota” in tutte le
altre circoscrizioni elettorali del Piemonte, ed era alla base di un atto di
esposto presentato sul punto da Luigina Staunovo Polacco, in data 4 maggio
2010, presso la locale Procura della Repubblica.
1.3 Sulla base delle menzionate circostanze, le ricorrenti chiedevano - in
via principale – che il giudice amministrativo accertasse autonomamente i fatti
penalmente rilevanti emersi nel corso dell’indagine penale avviata a seguito
del menzionato esposto del 4 maggio 2010, dichiarando l’illegittimità
dell’ammissione della lista “Pensionati per Cota” e, di conseguenza, annullando
l’esito della competizione elettorale, in quanto alterato in misura determinante
da un numero di voti invalidi (oltre 27.892) superiore allo scarto numerico
registrato tra le due coalizioni più votate (pari a 9.157 voti).
In via subordinata e in funzione delle medesime conclusioni, le ricorrenti
formulavano espressa riserva di querela di falso nel termine eventualmente
assegnato dal T.A.R..
1.4 Le parti controinteressate, come indicate in epigrafe, si sono
costituite ritualmente con i rispettivi atti, svolgendo e sollevando molteplici
eccezioni preliminari di rito e instando, nel merito, per il rigetto del
gravame, del quale hanno sostenuto l’infondatezza.
1.5 Si sono costituiti anche gli Uffici elettorali e il Ministero degli
Interni intimato, con il patrocinio dall’Avvocatura Distrettuale dello Stato,
la quale ha invocato l’estromissione dal giudizio di entrambe le
amministrazioni per difetto di legittimazione passiva a resistervi.
1.6 Le ricorrenti hanno dedotto motivi aggiunti, con atto depositato il 29
giugno 2010, ritualmente notificato nel termine assegnato.
Il 30 giugno 2010 è stato depositato un intervento ad opponendum da
parte di Franchino Sara, candidata nella lista “Pensionati per Cota”.
Il 9 luglio 2010 si è costituito anche Giovine Michele, eletto consigliere
regionale nella lista “Pensionati per Cota”.
All’esito della pubblica udienza del 15 luglio 2010, la causa è stata
introitata a decisione.
2. Con sentenza parziale n. 3196 del 6 agosto 2010 la
Sezione:
- ha scrutinato le numerose eccezioni preliminari
sollevate dai controinteressati nelle loro varie memorie e ulteriormente
propugnate nel corso della discussione di pubblica udienza, inerenti, in
particolare, asseriti vizi di irricevibilità del ricorso per tardività della
sua proposizione; di nullità della notifica del ricorso, in quanto tardiva e
incompleta di alcune pagine; di inammissibilità e improcedibilità del gravame
per assoluta genericità dell’individuazione degli atti impugnati e mancato
deposito dei medesimi;
- ha pronunciato l’estromissione dal giudizio degli
Uffici elettorali e del Ministero degli Interni;
- nel merito, ha ritenuto priva di fondamento la tesi
avanzata in via principale circa la possibilità di diretto accertamento delle
dedotte falsità da parte del giudice amministrativo e ha assegnato alla parte
ricorrente il termine di sessanta giorni dalla data di comunicazione o di
notificazione, se anteriore, della sentenza, per consentire la proposizione
dinanzi al competente Tribunale Ordinario della querela di falso, relativamente
all’autenticità delle dichiarazioni di accettazione delle candidature della
lista “Pensionati per Cota” e delle autenticazioni delle relative
sottoscrizioni, ai sensi dell’art. 41 del R.D. 17/8/1907, n. 642 e degli artt.
221 e ss. c.p.c.;
- ha rinviato il procedimento all’udienza pubblica del
18 novembre 2010, per la verifica dell’interposta querela di falso e per la
conseguente sospensione del giudizio.
3. Con ordinanza del 19 novembre 2010, constatata
l’avvenuta proposizione della querela di falso, notificata in data 23 settembre
2010, il Tribunale ha sospeso il giudizio di cui al ricorso in epigrafe, ai
sensi dell’art. 77, comma 4, c.p.a..
4. Mercedes Bresso e Luigina Staunovo Polacco hanno
proposto ricorso in appello avverso la sentenza parziale n. 3196/2010,
chiedendo l’accoglimento della propria originaria domanda principale di
accertamento diretto, da parte del giudice amministrativo, della falsità dei
predetti atti.
4.1 Non definitivamente pronunciando sull’appello
proposto dalle ricorrenti, la Sezione Quinta del Consiglio di Stato, con la
sentenza n. 999 del 16 febbraio 2011, dichiarati preliminarmente inammissibili
i ricorsi incidentali spiegati da Michele Giovine e Sara Franchino - in quanto
firmati da avvocati non abilitati al patrocinio davanti alla giurisdizioni
superiori - e respinte le altre eccezioni preliminari (in particolare, quella
di inammissibilità dell’appello per la pretesa natura meramente istruttoria
della sentenza di primo grado), ha sospeso il giudizio disponendo la
trasmissione degli atti alla Corte Costituzionale, avendo ritenuto con la coeva
ordinanza n. 1000/2011 rilevante e non manifestamente infondata la questione di
legittimità costituzionale degli artt. 8, comma 2 , 77, 126, 127, 128, 129, 130
e 131 del codice del processo amministrativo e delle previgenti disposizioni di
cui agli artt. 7 del r.d. n. 2840/1923; 41 e 43 del r.d. n. 642/1907; 28, comma
3, e 30, comma 2, r.d. 1054/1924 (T.U. Cons. Stato); 7, comma 3, ultima parte,
e 8 della legge n. 1034/1971 (l. Tar); 2700 cod. civ., in relazione agli
articoli 24, 76, 97, 103, 11, 113 e 117 della Costituzione che precludono al
giudice amministrativo di accertare incidentalmente eventuali falsità di atti
del procedimento elettorale.
4.2 La Corte
Costituzionale, con la sentenza n. 304 depositata in data 11 novembre 2011, ha
dichiarato non fondata la sollevata questione di legittimità costituzionale.
4.3 È necessario precisare che nelle more del presente
procedimento, il processo penale
avviato a carico di Michele Giovine e Carlo Giovine, per i reati di cui agli
artt. 110 e 81 cpv. c.p., art. 90, comma 2, D.P.R. n. 570 del 16 maggio 1960,
era giunto ad una prima pronuncia di condanna dei due imputati, emessa dal
Tribunale Penale di Torino in data 30 giugno/28 luglio 2011. La stessa sentenza
aveva accertato e statuito, ai sensi dell'art. 537 c.p.p., la falsità di 17
delle 19 autenticazioni di firma apposte in calce alle dichiarazioni di
candidatura relative alla lista “Pensionati per Cota” presentata per la
Provincia di Torino.
4.4 Dunque, conclusosi
l’incidente di legittimità costituzionale e fissata nuova udienza di
discussione nel procedimento di appello innanzi al Consiglio di Stato,
all’esito della stessa, la Quinta Sezione ha pronunciato la sentenza n. 4395,
del 1 agosto 2012, con la quale ha esaminato la questione, reiterata nell’atto
di appello, della possibilità dell’accertamento diretto da parte del giudice
amministrativo delle falsità delle sottoscrizioni e delle autenticazioni delle
firme di presentazione della lista “Pensionati per Cota”.
Il giudice, nel respingere l’appello: I) ha confermato
- secondo quanto già statuito da questo Tribunale - essere precluso al
giudice amministrativo l’accertamento in via diretta dell’asserita falsità
delle firme e delle relative autentiche delle candidature incluse nella
lista “Pensionati per Cota”; II) ha respinto la tesi, esposta nelle memorie
difensive delle appellanti, secondo cui la peculiare modalità con cui sarebbe
stato realizzato il falso, e quindi l’autenticazione delle sottoscrizioni da
parte di un consigliere comunale al di fuori del territorio comunale di
elezione, sarebbe tale da escludere la
natura di atto pubblico delle stesse certificazioni di autenticazioni (quanto
meno per la carenza di un elemento essenziale, quale la qualifica di pubblico
ufficiale) e da configurare, quindi, la diversa fattispecie della falsità
materiale compiuta dal privato, rispetto alla quale non sarebbe precluso
l’accertamento diretto della falsità da parte del giudice amministrativo; III)
ha constatato, al contempo, che questo Tribunale non si era ancora pronunciato
sul merito del ricorso di primo grado, essendosi limitato ad affermare che non
vi era ancora prova dell’asserita falsità che inficiava la lista “Pensionati
per Cota” e che la denunciata falsità non poteva essere accertata in via
diretta dal giudice amministrativo; IV) ha rilevato, quindi, la possibilità che
il giudice di primo grado, in funzione della decisione di merito, esaminasse le
risultanze sia della querela di falso
avviata in sede civile dalle odierne ricorrenti, con atto di citazione
notificato in data 9 settembre 2010; sia del processo penale avviato a carico
di Michele Giovine e Carlo Giovine, in relazione ai reati di falso commessi
nell’ambito delle operazioni di presentazione della lista “Pensionati per Cota”
e giunto, in allora, alla pronuncia di condanna di primo grado, emessa dal
Tribunale Penale di Torino in data 30 giugno/28 luglio 2011; V) ha escluso,
infine, la possibilità di una immediata decisione su dette questioni di merito
da parte del giudice d’appello, pena la violazione del diritto di difesa e del
principio del doppio grado di giudizio.
5. In data 7 giugno 2012, Michele Giovine ha
depositato nel presente procedimento un ricorso incidentale preordinato
all'annullamento degli atti degli uffici circoscrizionali centrali di ammissione
della lista "Pensionati ed Invalidi per Bresso", collegata alla
candidata Mercedes Bresso, nonché del provvedimento dell'Ufficio Centrale
Regionale nella parte in cui comunica che detta lista ha conseguito 12.582 voti
validi.
6. Con istanza del 29 agosto 2012, vista la decisione
del Consiglio di Stato n. 4395/2012, le odierne ricorrenti hanno chiesto la
fissazione dell’udienza di merito.
Con memoria del 7 settembre 2012, la Regione ha reso
noto di avere interposto, avverso la sentenza del Consiglio di Stato n.
4395/2012, ricorso in Cassazione per eccesso di potere giurisdizionale, nonché
ricorso in revocazione davanti al Consiglio di Stato per errore di fatto. Ha
chiesto, quindi, la sospensione di questo procedimento in attesa dell’esito di
tali giudizi (successivamente definiti con pronunce di inammissibilità dei
gravami: Cass. sez. un., 12 marzo 2013, n. 6082 e Cons. St., sez. V, 15 gennaio
2013, n. 175).
7. In vista dell’udienza pubblica dell’8 novembre
2012, fissata con decreto presidenziale del 21 settembre 2012, sono state
depositate deduzioni scritte da parte di Mercedes Bresso e Staunovo Polacco
Luigina, in data 23 ottobre 2012; di Frachino Sara, in data 24 e 29 ottobre
2012; di Michele Giovine, in data 24 e 29 ottobre 2012; di Botta e altri, in data
22 ottobre 2012; di Angeleri e altri, in data 16 ottobre 2012.
In particolare, con la memoria depositata il 23
ottobre 2012, le ricorrenti hanno eccepito l’inammissibilità e irricevibilità
sotto plurimi profili del ricorso incidentale proposto da Michele Giovine. Nel
merito, hanno dato atto della mancata definizione del procedimento per querela
di falso, avviato innanzi alla Prima Sezione Civile del Tribunale Ordinario di
Torino, con atto di citazione notificato in data 23 settembre 2010, e
dichiarato estinto con sentenza n. 7520/2011 del 21 dicembre 2011, avverso la
quale pendeva il giudizio di secondo grado. Al contempo, tuttavia, prendendo
atto dell’intervenuta conferma da parte della Corte d’Appello di Torino, III
Sezione, con sentenza 22 maggio – 21 luglio 2012, della condanna penale
pronunciata in primo grado a carico di Michele Giovine e Carlo Giovine, hanno
chiesto che il T.A.R. si pronunciasse in via immediata sull’impugnativa,
ovvero, in subordine, che attendesse il passaggio in giudicato della condanna
penale, in quanto rilevante, al pari del giudicato civile ex art. 221 c.p.c.,
ai fini della risoluzione della questione incidentale di falso.
8. All’udienza dell’8 novembre 2012 la discussione
della causa, su istanza delle parti, è stata rinviata a data da destinarsi, non
essendo intervenuta alcuna pronuncia definitiva sulla questione pregiudiziale
di falso.
9. Con istanza del 18 novembre 2013, vista la
decisione n. 2918/2013 della Quinta Sezione della Corte di Cassazione Penale,
che aveva respinto i ricorsi proposti da Michele Giovine e Carlo Giovine,
confermando integralmente la sentenza di condanna penale emessa dalla Corte
d’Appello di Torino, le odierne ricorrenti hanno chiesto e ottenuto la
fissazione di nuova udienza pubblica di discussione al 9 gennaio 2014.
10. A seguito dello scambio di memorie e repliche
scritte, la causa è stata nuovamente discussa in pubblica udienza e, all’esito,
è stata trattenuta a decisione.
11. In data 10 gennaio 2014 è stato pubblicato il
dispositivo di sentenza, cui fa seguito, nel prescritto termine di 10 giorni
fissato dall’art. 130, comma 7, c.p.a., la pubblicazione della presente
sentenza.
DIRITTO
1.1 Il Collegio è chiamato a decidere le questioni di
merito veicolate nel giudizio con il ricorso principale e con quello
incidentale, al netto delle eccezioni preliminari già vagliate e respinte con
la pronuncia parziale n. 3196 del 6 agosto 2010.
1.2 L’ordine logico di trattazione delle questioni
induce a posporre la disamina del contenuto di merito del ricorso principale al
prioritario scrutinio delle deduzioni contenute nel ricorso incidentale, in
quanto afferenti ad una supposta e preclusiva carenza di interesse ad agire in
capo alle ricorrenti, e preordinate, quindi, alla declaratoria di
inammissibilità dell’atto introduttivo del giudizio per difetto di
un’essenziale condizione dell’azione.
1.3 Più precisamente, con il mezzo incidentale
depositato in data 7 giugno 2012, Michele Giovine ha chiesto l’annullamento del
provvedimento di ammissione della lista “Pensionati e Invalidi per Bresso”,
collegata a Mercedes Bresso quale candidato presidente, e la conseguente
correzione dell’atto di proclamazione degli eletti nella parte in cui
attribuisce a detta lista 12.582 voti validi.
Secondo la prospettazione sottesa a dette istanze,
l’invalidazione di tali preferenze priverebbe di consistenza l’interesse ad
agire sotteso al ricorso principale, in quanto la differenza tra le stesse e i
voti contestati alla Lista “Pensionati con Cota” (15.765), risulterebbe
inferiore al margine di 9.157 voti con cui il Presidente Cota si è aggiudicato
le elezioni.
1.4 Trattasi, quindi, di ricorso incidentale paralizzante, che intende determinare la correzione
dell’atto di proclamazione in favore della lista vincitrice, in misura (e per un
numero di voti) tale da ristabilire un divario numerico tra le preferenze delle
due liste sufficiente a vanificare l’utilità di un eventuale accoglimento
dell’impugnativa principale.
1.5 L’argomentazione viene affidata, in termini
speculari a quelli del ricorso principale, ad una doglianza incentrata sulla
falsità delle attestazioni di autenticazione della lista “Pensionati e Invalidi
per Bresso”, di cui vi è riscontro negli atti del procedimento penale (iscritto
ad R.G. 17344/12) instaurato a carico di Di Silvestro, autenticatore e
candidato della lista "Pensionati ed Invalidi per Bresso", per il
reato di cui agli artt. 81 cpv. c.p. e 90, comma 2, D.P.R. n. 570 del 16 maggio
1960, conclusosi con sentenza di condanna e contestuale pronuncia di falsità, ex
art. 537 c.p.p., del G.I.P. del Tribunale di Torino, in data 20 dicembre 2013.
1.6 La parte ricorrente ha eccepito la radicale
inammissibilità del mezzo incidentale, in quanto non notificato e ampiamente
tardivo, essendo sopravvenuto ad oltre due anni distanza dall’atto di
proclamazione degli eletti.
1.7 Il Collegio ritiene di non poter dissentire da
tale ostativo rilievo preliminare.
Va da sé, infatti, che le considerazioni reiterate in atti sulla valenza penalistica delle
vicende citate e sulla legittima stigmatizzazione che le stesse possono indurre
nell’opinione pubblica in ordine al complessivo svolgimento della tornata
elettorale, afferiscono ad un livello di valutazione metagiuridica che è del
tutto estraneo alle prerogative degli organi giurisdizionali.
Ciò detto, sul piano processuale non è ravvisabile alcun margine per poter
derogare alla generale regola che impone di arrestare la valutazione di merito
delle istanze processuali innanzi a preliminari e risolutivi rilievi di
inammissibilità del rimedio che le veicola.
1.8 Nel caso di specie detti rilievi - sollecitamente
eccepiti dalla parte ricorrente e comunque, in ultima analisi, valutabili
d’ufficio - attengono alla stessa concreta integrazione dei presupposti
necessari a conferire giuridica esistenza al mezzo processuale e a radicarlo
correttamente nel rapporto processuale in essere.
1.9 Un primo profilo di radicale inammissibilità del mezzo consegue alla sua mancata notifica alle controparti. Contravvenendo
a consumate e pacifiche regole processuali, il ricorrente incidentale si è
limitato a depositare l’atto, in data 7 giugno 2012, senza tuttavia procedere
alla sua notifica, né prima né a seguito del suo deposito, e nemmeno in vista
dell’udienza del 21 settembre 2012, fissata con decreto presidenziale
adottato a seguito dell’istanza inoltrata dalle ricorrenti in data 29 agosto
2012.
La tempestiva notifica costituisce,
per contro, adempimento necessario ai fini della corretta introduzione di un
atto ampliativo del thema decidendum e della rituale instaurazione del
contraddittorio.
In proposito l'art. 129, comma 5, del codice del
processo amministrativo - riferito al giudizio avverso gli atti di esclusione
dal procedimento preparatorio per le elezioni, ma espressivo di una regola
generale costantemente affermata dalla giurisprudenza in punto di modalità per
la proposizione del gravame incidentale in materia elettorale - prescrive che
"alla notifica del ricorso
incidentale si provvede con le forme previste per il ricorso principale”.
La disposizione corrisponde alla tralaticia regola
interpretativa secondo cui nel termine di quindici giorni il ricorso
incidentale deve essere notificato alle controparti e anche depositato (ex
multis, T.A.R. Piemonte sez. I 09 ottobre 2010, n. 3728; Cons. St., sez. V,
22 maggio 2006, n. 2971; T.A.R. Catania, sez. III, 20 maggio 2008 , n. 939).
L’omessa rituale proposizione del mezzo ha rilevanza
preclusiva sulla cognizione del giudice, in quanto in un sistema processuale di
giurisdizione soggettiva imperniato sul principio dispositivo, quale è quello
elettorale, la mancata proposizione di rituale ricorso incidentale preclude
l'allargamento del thema decidendum rispetto a quanto delineato in modo
puntuale nel ricorso introduttivo (cfr. Cons. St., sez. V, 31 luglio 2012 n. 4358;
T.A.R. Piemonte, sez. II, 3 marzo 2012, n. 295). Al fine di contemperare tutti
gli interessi in conflitto, il legislatore ha attribuito, infatti, nello
specifico e delicato settore della materia elettorale, valore predominante al
principio della certezza dei rapporti di diritto pubblico, prevedendo rigorosi
termini di decadenza entro i quali gli atti vanno contestati e, decorsi
inutilmente i quali, i risultati elettorali diventano intangibili per la parte
non oggetto di tempestiva impugnazione.
1.10 Dall’assenza di notifica discende, quindi,
l’inammissibilità del gravame (cfr. Cons. St., sez. V, 22 marzo 2012, n. 1631;
sez. IV, 27 novembre 2010, n. 8280; sez. V, 12 giugno 2009, n. 3747; sez. VI,
30 maggio 2008, n. 2602).
1.11 All’assorbente profilo di inammissibilità del
ricorso incidentale, si assomma - in via gradata - l’altrettanto fondato e
dirimente rilievo di irricevibilità per
tardività.
Viene qui in rilievo l’ulteriore e basilare regola
processuale secondo cui il termine per notificare e depositare il ricorso
incidentale è di 15 gg dalla ricezione del ricorso principale (T.A.R. Piemonte,
sez. I, 09 ottobre 2010, n. 3728; Cons. St., sez. V, 22 maggio 2006, n. 2971;
id., 05 maggio 1999, n. 519 e 16 giugno 1998, n. 885). Altra tesi – che si
differenzia solo parzialmente da quella maggioritaria testé menzionata –
ritiene che, in assenza di una disciplina specifica del ricorso incidentale
elettorale, si debba fare riferimento ai termini del rito ordinario, sia pure
dimezzati (cfr. T.A.R. Catania, 28 febbraio 2008, n. 2274).
Per entrambi gli orientamenti e in maniera univoca in
giurisprudenza, i termini processuali in esame sono tutti pacificamente
considerati "perentori" e da osservarsi "a pena di
decadenza". Con la conseguenza che il relativo decorso non può che
essere impedito dal compimento dell'atto previsto dalla legge e, cioè, dalla
tempestiva proposizione, mediante notifica e successivo deposito, del ricorso
incidentale.
Difettando nella specie la tempestiva proposizione del
mezzo (depositato, come detto, ad oltre due anni di distanza dall’atto di
proclamazione degli eletti) risulta ulteriormente confermata l’impossibilità di
estendere la cognizione ai profili di merito con esso veicolati.
1.12 In senso contrario a quanto sin qui osservato non
assume rilevanza la deduzione del ricorrente incidentale secondo cui un fatto
nuovo e rilevante - e, cioè, l'avviso ex art. 415 bis c.p.p. a carico di Marco
di Silvestro, autenticatore, dirigente, candidato della lista "Pensionati
ed Invalidi per Bresso", di cui egli ricorrente asserisce essere venuto
conoscenza solo il 23 maggio 2012 - avrebbe giustificato la proposizione solo
da tale data del ricorso incidentale.
Come esposto, la decorrenza è dalle scadenze di legge
e non dalla conoscenza dei presupposti di fatto. Questi ultimi, se
sopravvenuti alla scadenza dei termini previsti per l'esercizio dell'azione
principale o incidentale, diventano irrilevanti nel contenzioso elettorale e
tale conclusione trova la propria ratio nell’essenziale regola di contemperamento
delle esigenze di difesa con quelle di certezza del risultato elettorale, in
termini compatibili con la durata degli organi rappresentativi della cui
elezione si tratta.
|
1.13 L’elusione del termine decadenziale non può
conseguire nemmeno ad una diversa qualificazione delle contestazioni portate
nel ricorso incidentale alla stregua di mere “controdeduzioni”, non soggette
all’onere della previa notifica e ai perentori termini di ingresso nel
giudizio.
Tra le controdeduzioni e il ricorso incidentale
intercorre, infatti, la fondamentale differenza per cui soltanto quest'ultimo,
diversamente dalle prime, integra, allargandolo, il thema decidendum del
ricorso principale; laddove le controdeduzioni si limitano a rappresentare
ragioni di confutazione dei motivi proposti dal ricorrente principale (cfr.
T.A.R. Latina, sez. I 27 maggio 2010, n. 952 ; T.A.R. Milano, sez. IV 14
ottobre 2010, n. 6943 e 02 febbraio 2010, n. 231).
Il resistente, avvalendosi del ricorso incidentale,
non si limita a resistere semplicemente alla domanda principale volta a
censurare un atto amministrativo (ciò che concreterebbe una mera
"controdeduzione"), ma chiede anche che l'atto venga modificato in
maniera diversa e per sé più vantaggiosa rispetto a quanto introdotto con ricorso
principale.
La mera difesa esplicata nei confronti delle censure
espresse in ricorso, mediante deposito di memorie, scritti difensivi ed
esibizione di documenti, è quindi attività ben diversa dal
"contrattacco" esercitato contestando sotto altri profili la
legittimità dello stesso provvedimento impugnato in via principale; sicché
l’equiparazione tra l’una e l’altra attività processuale, sotto il profilo
delle modalità di instaurazione del contraddittorio con le controparti,
risulterebbe irriguardosa dei principi costituzionali posti a salvaguardia del
diritto di difesa processuale.
La segnalata differenza spiega, pertanto, perché per
proporre ricorso incidentale non sia
sufficiente, come per le controdeduzioni, il semplice deposito: proprio per
la sua diversa natura di atto introduttivo di autonomo seppur connesso gravame,
esso esige una preliminare specifica notificazione e un successivo deposito,
"con la prova delle eseguite notificazioni". La carenza di uno
dei due adempimenti necessitati determina l'inammissibilità della domanda.
1.14 Deve quindi concludersi che la contestazione del
provvedimento di ammissione della lista “Pensionati e Invalidi per Bresso”,
collegata a Mercedes Bresso quale candidato presidente, per tutte le segnalate
ragioni non può essere parte dell’oggetto di cognizione del presente
procedimento.
1.15 Se così è, alcuna rilevanza può attribuirsi alle
risultanze probatorie dei procedimenti penali che hanno riguardato l’asserita
falsità delle attestazioni di autenticazione della lista “Pensionati e Invalidi
per Bresso”: mancando una specifica e rituale impugnazione che possa dare
ingresso a dette questioni nel presente procedimento, il Tribunale non è
abilitato a esaminarle a nessun titolo, né in via principale, né in via
incidentale.
1.16 Per lo stesso motivo, tali deduzioni non incidono
in alcun modo sull’interesse ad agire delle ricorrenti. È vero, infatti, che le
condizioni dell’azione sono esaminabili d’ufficio. Ciò nondimeno, l’invocata
detrazione dei voti attribuiti alla lista “Pensionati e Invalidi per Bresso”,
dalla quale si farebbe discendere la carenza di interesse ad agire in capo alle
ricorrenti, avrebbe imposto una rituale impugnazione incidentale dell’atto di
ammissione di detta lista e, in parte qua, del conseguente atto di
proclamazione degli eletti.
In difetto di tale impugnazione, si configura
impossibile un riconteggio in pejus dei voti attribuiti alla lista
Bresso e, pertanto, l’utilità concreta eventualmente ricavabile dalle
ricorrenti in esito ad una favorevole valutazione del ricorso principale - in
quanto rapportata alle sole deduzioni e istanze contenute nel ricorso
principale - in alcun modo può risentire delle argomentazioni contenute nel
ricorso incidentale.
1.17 Ancora più in radice e sotto diverso profilo, l’effetto
paralizzante che si intende affidare al ricorso incidentale è inficiato nelle
sue fondamenta dal fatto che la domanda azionata dalle ricorrenti mira
principalmente alla invalidazione generale della procedura elettorale, assumendola viziata in origine e in misura rilevante dall’illegittima
ammissione della lista “Pensionati per Cota”. La radicalità dell’interesse dedotto
supera la necessità di un riconteggio di voti in funzione di una loro possibile
diversa attribuzione, sicché non vi è spazio per verificare se effettivamente -
in applicazione del criterio della prova di resistenza - l’illegittimità
denunciata possa tradursi in un rovesciamento dell’esito elettorale in misura
favorevole alle posizioni rappresentate dalla parte ricorrente.
Al contrario, una volta acclarata la rilevanza
numerica delle liste illegittimamente ammesse alla competizione elettorale,
l’effetto perturbatore che ne discende sull’espressione della volontà degli
elettori è da intendersi come direttamente proporzionale al numero e alla
portata di dette liste illegittime. Sicché, come meglio si chiarirà nel
prosieguo esaminando gli effetti invalidanti degli atti impugnati, l’assommarsi di liste illegittime,
anche se collocate su fronti contrapposti della competizione elettorale, giammai
attenua, ma al più aggrava, l’effetto di alterazione della corretta espressione
del voto, che è alla base, laddove se ne apprezzi una non trascurabile
consistenza quantitativa, della invalidazione generale della procedura
elettorale.
1.18 Infine, in ragione dell’illustrata
inammissibilità del ricorso incidentale, non pare centrata e va respinta
l’obiezione sollevata dalla difesa della Regione (pag. 3, memoria depositata il
27 dicembre 2013) secondo cui la nullità dell’atto di presentazione della lista
“Pensionati e Invalidi per Bresso” potrebbe essere rilevata d’ufficio, ai sensi
dell’art. 31, comma 4, c.p.a., e quindi a prescindere dal valido radicamento
del rimedio incidentale. La disposizione richiamata, infatti, contrariamente a
quanto divisato dalla Regione, nel prevedere che “la nullità dell’atto può
sempre essere opposta dalla parte resistente o essere rilevata d’ufficio dal
giudice”, presuppone sempre che sussista una domanda, correttamente introdotta
nel giudizio e che si fondi su un atto nullo, esigendosi quindi che il profilo
di nullità acceda a deduzioni e istanze ritualmente inserite nel thema
decidendum. E ciò per la decisiva considerazione che il rilievo d’ufficio
della nullità non può mai derogare al principio dispositivo che governa il processo
amministrativo (e quindi anche il giudizio elettorale), trattandosi di sistema
di giurisdizione soggettiva.
In conclusione, il ricorso incidentale, per tutte le ragioni esposte, va dichiarato inammissibile.
2. Vengono quindi in considerazione le ulteriori
eccezioni preliminari sollevate dai controinteressati in ordine alla carenza di
legittimazione ad agire di Staunovo Polacco Luigina (pag. 5, memoria depositata il 24
dicembre 2013) e alla inammissibilità del ricorso per conflitto di interessi
delle ricorrenti (pagg. 9 - 10, memoria depositata il 23 dicembre 2013).
2.1 Della ricorrente Staunovo si deduce - reiterando
argomenti già spesi con il ricorso incidentale - che la stessa non sarebbe
legittimata a ricorrere, in quanto agisce in qualità di coordinatore nazionale
di una formazione politica (“Pensionati ed Invalidi”) che, stante la falsità
delle autentiche sulla base delle quali è stata ammessa alla competizione
elettorale, è da ritenersi nulla o insistente.
2.2 L’eccezione non ha pregio. In disparte le già
svolte osservazioni sull’irrilevanza processuale del mezzo incidentale - che
come non incide sull’interesse ad agire delle ricorrenti, così non può influire
sulla loro legittimazione a ricorrere - resta da rilevare che Staunovo
Polacco, oltre che in qualità di coordinatore nazionale del partito
"Pensionati ed Invalidi", ha agito in proprio, in qualità di cittadina elettrice in Piemonte, sicché certamente sotto
questo specifico e ulteriore profilo la sua legittimazione ad agire non può essere
posta in dubbio.
2.3 Per argomentare l’inammissibilità del ricorso per
conflitto di interessi delle ricorrenti si è dedotto, invece, che mentre Bresso
Mercedes, quale candidata eletta consigliere, non avrebbe interesse alla
rinnovazione della consultazione elettorale in quanto, per effetto
dell’annullamento delle elezioni già celebrate, decadrebbe dalla carica di
consigliere regionale; viceversa, Staunovo Polacco avrebbe interesse
all’annullamento delle elezioni per poter ambire, in occasione di un rinnovato
procedimento elettorale, a conquistare un seggio nel rinnovato Consiglio
Regionale.
2.4 Anche quest’ultima eccezione va respinta in quanto
omette di considerare che le ricorrenti,
entrambe residenti in Piemonte, hanno agito in giudizio a vario titolo e,
precisamente, Mercedes Bresso ha agito in proprio, in qualità di candidato
presidente della coalizione di centrosinistra nonché di candidata capolista del
listino "Uniti per Bresso" (Mercedes Bresso); Luigina Staunovo ha
agito in proprio e in qualità di coordinatore nazionale del partito
"Pensionati e Invalidi”.
Sotto il primo dei profili di legittimazione dedotti,
quello dell’esercizio dell’azione “in proprio”, le posizioni soggettive delle
ricorrenti coincidono.
Le stesse ricorrenti, inoltre, hanno proposto in via principale domanda di annullamento
degli atti impugnati e, se si considera che il risultato elettorale non ha
corrisposto alla massima aspettativa della Bresso di conseguire la presidenza
della Giunta Regionale, non pare potersi negare una comunanza di interessi
strumentali, tra le due ricorrenti, alla caducazione integrale della procedura elettorale.
Né pare sostenibile argomentare, a contrario,
che il fatto di avere conseguito l’ufficio di consigliere regionale priverebbe
Mercedes Bresso dell’interesse all'annullamento di atti che hanno comportato la
sua elezione. Anche il consigliere
eletto, in considerazione della rappresentanza politica e del relativo mandato,
resta titolare dell'interesse teso a garantire che l'elezione avvenga nel rispetto
delle regole che disciplinano la competizione elettorale.
In ogni caso, egli resta titolare dell'interesse
strumentale alla riedizione della competizione in vista del raggiungimento di
una posizione più favorevole alla propria coalizione.
Esaminando casi analoghi a quello in oggetto, la
giurisprudenza ha escluso profili di inammissibilità per conflitto d'interessi
del ricorso collettivo proposto avverso la proclamazione degli eletti anche da
parte di alcuni dei consiglieri eletti, potendo gli stessi vantare un interesse
strumentale all'annullamento in toto delle elezioni, al fine di divenire
maggioranza nelle nuove elezioni (T.A.R. Latina, 05 giugno 2002, n. 666).
In definitiva, l’ampia latitudine delle posizioni
azionate inficia la dedotta inammissibilità del ricorso introduttivo.
Sussistono, pertanto, sotto tutti i profili
considerati, le condizioni per poter sindacare nel merito la fondatezza della domanda con esso introdotta.
3. Per meglio circoscrivere l’oggetto del giudizio
occorre chiarire, preliminarmente, che il presupposto logico - giuridico dal
quale la domanda delle ricorrenti prende le mosse attiene alla falsità delle
sottoscrizioni di accettazione delle candidature inserite nella lista
provinciale “Pensionati per Cota, nonché delle relative attestazioni di
autenticazione.
Su tale assunto si innesta la richiesta di
annullamento dell’atto di proclamazione degli eletti e dei provvedimenti di
ammissione della lista “Pensionati per Cota”, collegata con il candidato alla
carica di Presidente della Giunta Regionale.
3.1 Per giungere all’auspicato esito caducatorio, le ricorrenti hanno chiesto – in via
principale - che il giudice
amministrativo accertasse autonomamente i fatti penalmente rilevanti inerenti
il falso documentale, oggetto di un indagine penale avviata a seguito di un
esposto del 4 maggio 2010, depositato presso la locale Procura della
Repubblica, e conclusasi con la menzionata decisione n. 2918/2013 della Quinta
Sezione della Corte di Cassazione Penale.
In via subordinata, le ricorrenti hanno formulato
espressa riserva di querela di falso nel termine eventualmente assegnato dal
T.A.R..
3.2 Questa sezione, con la pronuncia parziale
3196/2010, ha respinto la domanda principale, ritenendo che le certificazioni
sottoposte alla sua attenzione possedessero i tratti distintivi dell’atto
pubblico, assunto da pubblico ufficiale e come tale assistito da fede
privilegiata, ex art. 2700 c.c., revocabile in dubbio e contestabile unicamente
mediante lo strumento processuale della querela di falso disciplinata agli
artt. 221 e seguenti c.p.c..
3.3 La statuizione è stata confermata dal Consiglio di
Stato con sentenza n. 4395/2012.
3.4 È di chiara
evidenza, tuttavia, che la decisione che si è consolidata in via definitiva
attiene esclusivamente all’esclusione della possibilità di un autonomo
accertamento dell’asserita falsità documentale da parte del giudice
amministrativo.
3.5 Nessuna statuizione e conseguente preclusione è
intervenuta, invece, in ordine alla possibilità per questo T.A.R. di valutare
autonomamente altre pronunce giurisdizionali attestanti, con efficacia
equivalente a quella emessa in esito a querela ex art. 221 c.p.c., dette
ipotesi di falso. La tematica del falso penale, infatti, oltre a risultare
estranea alle argomentazioni contenute in sentenza, non appare in alcun modo
connessa alla questione - oggetto della pronuncia parziale - dell’accertamento
autonomo del falso da parte del giudice amministrativo.
3.6 In definitiva, dal giudicato maturato sulla
pronuncia parziale non discende alcun effetto preclusivo alla disamina degli
esiti del giudizio penale maturati in parallelo allo svolgimento del presente
procedimento.
4. Sempre al fine
di chiarire la rilevanza nel presente procedimento del giudicato penale consolidatosi in capo a Michele
Giovine e Carlo Giovine, è utile precisare che la Quinta sezione penale
della Corte di Cassazione, con la decisione n. 2918/2013, nel respingere i
ricorsi di legittimità e confermare integralmente la sentenza di condanna
adottata dalla Corte d’Appello di Torino (n. 7110 del 22 maggio 2012), ha
convalidato, al contempo, la declaratoria di falsità – già adottata dal giudice
di secondo grado ai sensi dell’art. 537 c.p.p. - delle diciassette
autenticazioni di firma poste in calce alle rispettive dichiarazioni di
accettazione di candidatura relative alla lista provinciale “Pensionati per
Cota”.
4.1 Quanto alle condotte di
falsificazione, Giovine Carlo e Giovine Michele sono stati definitivamente
condannati per aver falsamente attestato come vere e autentiche – perché
apposte in loro presenza e nel luogo nel quale essi esercitavano la pubblica
funzione di consigliere comunale – alcune delle firme poste in calce ai moduli
di accettazione della candidatura, relative alla lista provinciale torinese dei
candidati per il partito politico “Pensionati per Cota”. In tale
condotta si sono estrinsecate fattispecie di falso materiale (l’apposizione di firme mediante utilizzo di
nome e cognome di altra persona) e di falso
ideologico (l’autenticazione di firme effettivamente apposte dagli aventi
diritto ma certificate in data e luoghi diversi da quelli riportati sui
documenti).
In particolare, il falso ideologico accertato è
originato dal fatto che alcuni dei pretesi firmatari dei moduli di accettazione
della candidatura in qualche caso non li avevano sottoscritti in presenza degli
imputati, mentre in altri casi non avevano mai neppure avallato l’accettazione
della candidatura, apponendo a tal fine la propria firma, oppure erano
addirittura all’oscuro di essere inseriti nella lista dei candidati.
L’accertamento
di tali condotte, come detto, ha imposto al giudice penale la declaratoria ai
sensi dell’art. 537 c.p.p..
4.2 L’accertata falsità delle diciassette
autenticazioni di firma si innesta come dato rilevante nel presente giudizio in
quanto inficia la validità dell’atto di ammissione della lista provinciale
“Pensionati per Cota”.
A tanto si perviene in considerazione del fatto che l’autentica della dichiarazione di accettazione delle candidature - prevista dall'articolo 32, comma
9, n. 2 del TU n. 570/1960 - è
indefettibile requisito prescritto ad substantiam e non integrabile aliunde,
funzionale a garantire la certezza della provenienza delle dichiarazioni
medesime (Cons. St., sez. V, 08 maggio 2013, n. 2500 e 11 febbraio 2013, n. 779
).
La mancanza o la irritualità di
detto elemento essenziale della fattispecie determina non la mera irregolarità,
ma la nullità insanabile della sottoscrizione, e, quindi, dello stesso atto di
presentazione delle candidature (Cons. St., sez. V, 10 marzo 1998, n. 282; id., sez.
V, 7 marzo 1986, n.148 e 29 giugno 1979, n. 470).
4.3 Nel caso di specie, è incontestato che l’accertata
falsità delle autentiche delle sottoscrizioni fa venire meno il numero minimo
di candidature per la valida presentazione della lista, stante il disposto
dell’art.9, comma 5, della L. 108/1968, secondo il quale “ciascuna lista deve
comprendere un numero di candidati non superiore al numero di consiglieri da
eleggere nel collegio e non inferiore ad un terzo arrotondato all’unità
superiore”.
4.4 Il tema del giudicato penale offre occasione per chiarire, a
soluzione di una deduzione sollevata sul punto dalla difesa dei
controinteressati, che il passaggio in giudicato della sentenza non è
condizionato al decorso del termine di proposizione del ricorso ex art. 625 bis
c.p.p., essendo questo un mezzo di impugnazione straordinaria, esperibile nei
confronti di pronunce già divenute irrevocabili e in quanto tale non incidente
sull‘intangibilità del loro passaggio in giudicato, ai sensi dell’art. 648
c.p.p. (cfr. Cass. pen., sez. VI, 07 gennaio 2008, n. 5694; Sez. V, 16 luglio
2009, n. 40171; sez. I, 20 maggio 2010, n. 23854; sez. VI, 08 giugno 2010, n.
25977; sez. un., 21 giugno 2012, n. 28717).
4.5 Va poi precisato che la conferma integrale della
decisione del giudice d’appello priva di ragion d’essere la richiesta di rinvio
dell’udienza, avanzata nel corso della discussione del 9 gennaio 2014 dalla
difesa dei controinteressati e motivata dalla produzione tardiva del testo
integrale sentenza della Corte di Cassazione, avvenuta in data 28 dicembre 2013
e quindi in difetto del termine minimo di 20 giorni prima dell’udienza di cui
agli artt. 73, comma 1, e 130, comma 10, c.p.a.. Sul punto si osserva che, ai
fini del decidere, ciò che assume rilievo è il solo dispositivo di integrale
conferma della pronuncia di secondo grado, già versato in atti in data 18
novembre 2013, risultando irrilevanti le ulteriori produzioni documentali
riferite alle motivazioni della pronuncia penale, in quanto afferenti a materia
estranea alla statuizione accessoria del falso documentale.
5. Le premesse consentono di addivenire al tema
centrale relativo alla ammissibilità e rilevanza nel presente giudizio della
statuizione di falsità documentale adottata dal giudice penale ai sensi
dell’art. 537 c.p.p..
5.1 I controinteressati, dopo aver fatto rilevare che il Presidente Cota e
molti dei consiglieri eletti, pur costituiti nel presente giudizio, non si sono
costituiti come parte civile nel processo penale a carico di Giovine Michele e
Carlo, sostengono che, per effetto dell'art. 654 del vigente codice di
procedura penale, la declaratoria della falsità dei predetti documenti non
sarebbe loro opponibile, in quanto inidonea a spiegare autorità di giudicato in
un diverso giudizio, civile o amministrativo, che veda come parti dei terzi che
siano rimasti estranei al procedimento penale (Cass. Civ., sez. I, 22 novembre
1996, n. 10358; Cass. Civ., sez. I, 28 agosto 1999, n. 9070).
5.2 La questione dell’efficacia e opponibilità in
altri giudizi del giudicato sulla declaratoria di falso, pronunciata ai sensi
dell’art. 537 c.p.p., ha trovato in giurisprudenza scarse e inappaganti
occasioni di approfondimento.
5.3 Tuttavia, costituisce dato condiviso da tutte le pronunce rinvenibili in materia che nella
disciplina relativa alla dichiarazione di falsità di atti o di documenti nel
processo penale concorrono due distinte ed autonome azioni, suscettibili di
epiloghi differenziati: l'azione penale principale, volta all'accertamento
della colpevolezza, o meno, dell'imputato (rispetto alle ipotesi di reato ex
art. 476 e ss. c.p.) ed eventualmente alla pronuncia di condanna; e l'azione,
accessoria, complementare e di valenza civilistica (art. 537 c.p.p.),
preordinata alla tutela della fede pubblica e destinata a concludersi con la
declaratoria di falsità del documento, allorché, indipendentemente dall'esito
dell'altra azione, la falsità stessa sia accertata dal giudice.
5.4 Ulteriore dato pacifico è costituito dalla ratio di favor veri dell’art. 537 c.p.p., al quale si ascrive la duplice funzione di tutela della
fede pubblica - realizzabile mediante la rimozione integrale dalla circolazione
dell'efficacia probatoria del documento riconosciuto falso - e di attuazione
dell’economia processuale nell’ambito dei rapporti tra giudizio civile e penale
di falso (Cass. pen. sez. V, n. 712 del 19 gennaio 1999, n. 712; id., sez. V,
31 luglio 1997, n. 2827 e 14 ottobre 1998, n. 712).
5.5 La divaricazione funzionale e strutturale tra le
due azioni veicolate nella disciplina del falso penale, induce a respingere
radicalmente la possibilità di costringere la rilevanza della declaratoria di
falso ex art. 537 c.p.p. nei limiti di efficacia dettati dall’art. 654 c.p.p..
Quest’ultima norma prescrive una regola di ingresso
dell’efficacia del giudicato penale in altri giudizi civili e amministrativi,
condizionandola, tra le altre cose, alla coincidenza soggettiva delle parti
costituite nei due procedimenti. Ciò che più conta è che la regola di
estensione dell’efficacia del giudicato è circoscritta ai soli fatti
“materiali” afferenti all’azione criminosa, come accertati nel giudizio penale
(ove il fatto va inteso in senso naturalistico, nella sua dimensione fenomenica
di condotta).
5.6 Tutt’altra è la portata dell’art. 537 c.p.p., in
quanto la dichiarazione di falsità ha finalità diverse da quelle proprie della
repressione penale. Essa fonda sul solo fatto dell'acclarata non rispondenza al
vero dell'atto o del documento, e, pertanto, è indipendente dalla circostanza
che il processo penale si concluda, quanto all’accertamento della condotta di
falsificazione, con un verdetto di colpevolezza o di proscioglimento. La
declaratoria in esame corrisponde, infatti, alla preminente esigenza di tutela
dell’interesse pubblico alla rimozione dell'efficacia probatoria del documento
che ne forma oggetto e assume la tutela della fede pubblica a bene giuridico
primario della collettività (o a interesse giuridico collettivo). Come tale
essa è sottratta alla disponibilità delle parti - tanto che neppure
l'ammissione del fatto da parte dell'imputato può di per sé sola giustificare
detta dichiarazione, qualora manchi un accertamento positivo del falso, che
deve essere compiuto alla luce di tutte le risultanze probatorie acquisite
(Cass. pen., sez. un., 27 ottobre 1999, n. 20) - ed è doverosamente imposta al
giudicante, il quale deve obbligatoriamente inserirla in dispositivo.
5.7 Sul piano processuale l’attestazione di falsità si
inserisce come statuizione accessoria ma distinta, per contenuto e presupposti,
dall’indagine condotta sulla condotta penale di falsificazione, configurandosi
come “un accertamento atipico sul nudo fatto” (la genuinità del documento) che
deve essere disposto qualunque sia l’esito penalistico del procedimento.
5.8 Nell’ottica di un inquadramento di tipo
sistematico è significativo il fatto che l’art. 537 c.p.p. (già inserito sub
art. 480 nel previgente codice di procedura, del quale condivideva il generale
regime di efficacia erga omnes del giudicato penale), oltre a trovare
collocazione topografica distinta dal 654 c.p.p., non ne ripete i contenuti
limitativi riferiti all’efficacia soggettiva, né contiene elementi di rimando
esplicito o implicito alla disciplina del giudicato (ove ha sede l’art. 654
c.p.p.), contenuta nel titolo I del libro decimo del codice di procedura
penale.
5.9 Si tratta quindi, a ben vedere, di statuizione di
accertamento di valenza civilistica tendente, al pari del giudicato che si
forma a seguito della querela di falso, a rimuovere erga omnes
l'efficacia probatoria del documento che ne forma oggetto e come tale astratta
dalla disciplina propria del giudicato penale che viene a formarsi sulla
cognizione condotta sull’actio criminis.
5.10 La controprova dell’autonomia delle due norme (artt. 654 e 537 c.p.p.) si ricava da una
serie di argomenti logici e, in primis, dalla considerazione per cui,
stante l’attinenza della dichiarazione di falsità alla tutela di un interesse
inerente alla fede pubblica, sottratto alla disponibilità delle parti,
condizionare la valenza assoluta e generalizzata di detto accertamento alla
scelta della parte privata di intervenire o meno nel giudizio penale,
significherebbe degradare l’interesse pubblico indisponibile ad un condizione di
piena disponibilità da parte del privato, vanificando l’utilità e l’impronta
pubblicistica della stessa disposizione di cui all’art. 537 c.p.p..
Così opinando, infatti, la valenza dell’accertamento
di falso sarebbe rimessa alla libera scelta della parte privata di comprimere,
secondo propria convenienza, gli effetti di un accertamento concepito
nell’interesse giuridico della collettività e a garanzia generale della
certezza dei rapporti giuridici.
5.11 Col che sarebbe lecito interrogarsi sull’utilità
di un siffatto sistema di accertamento della veridicità documentale; e sulla
sua coerenza con la preminente necessità di garantire la fede pubblica nel modo
più energico, cioè mediante la tutela penale (che individua oltre alla falsità
anche l’autore della stessa), concepita come difesa avanzata posta a presidio
del “traffico giuridico” che si svolge tra i consociati e il cui presupposto è
costituito dalla certezza dei mezzi di prova documentale sui quali si fonda.
5.12 Nello stesso ordine di considerazioni
logico-sistematiche è doveroso osservare che la platea dei potenziali
interessati a costituirsi parte civile in relazione all’accertamento di falsità
di documenti di vasta rilevanza, come quelli che vengono in rilievo nel
presente giudizio, è talmente ampia e differenziata da sconfinare nella
sostanziale indeterminatezza. La diffusività dell’interesse al corretto
espletamento della competizione elettorale, riconoscibile in capo ad ogni
singolo elettore (ognuno di questi essendo legittimato ad agire in giudizio), è
infatti tale da rendere pressoché impossibile l’individuazione nominativa dei
terzi potenzialmente pregiudicati dalla pronuncia ex art. 537 c.p.p..
Pertanto, a voler condizionare la valenza
dell’accertamento dell’art. 537 c.p.p. alla piena integrazione di tale
contraddittorio, ritenendo che solo in tal caso di realizzerebbe l’opponibilità
erga omnes dell’accertamento sul documento, si innescherebbe un evidente
cortocircuito logico-giuridico che vanificherebbe, nuovamente, il senso e
l’applicazione della norma.
5.13 Ancora, a voler ritenere insuperabili i limiti
dettati dall’art. 654 c.p.p. in tema di opponibilità verso terzi del giudicato
penale, di uno stesso atto pubblico dichiarato falso ex art. 537 c.p.p.
verrebbe a dirsi che esso è privo di rilevanza giuridica tra le parti del
giudizio penale; e che lo stesso, al contempo, è ancora efficace e opponibile
ai soggetti rimasti terzi rispetto al giudizio penale. Di modo che verrebbe ad
essere irrimediabilmente intaccato il proprium indefettibile dell’atto
pubblico, che consiste nella sua capacità di attribuire “pubblica fede” alle
dichiarazioni e ai fatti attestati dal pubblico ufficiale, con un’efficacia
assoluta ed erga omnes che suggella una verità giuridica valida per
tutti i consociati.
5.14 È chiaro, infatti, che l’efficacia probatoria
dell’atto pubblico si estende anche nei confronti dei terzi, cioè dei soggetti
che non hanno partecipato alla formazione dell’atto, nel senso che gli stessi,
se interessati, potranno esigere che vengano considerate come effettuate le
dichiarazioni - e veri gli altri fatti – risultanti nell’atto pubblico; le
stesse dichiarazioni e gli stessi fatti non potranno dai medesimi terzi essere
disconosciute.
Se questa è la natura intrinseca dell’atto pubblico,
evidentemente non può darsene una variante a “efficacia soggettiva variabile”,
e cioè rilevante verso taluni consociati e non rispetto ad altri.
5.15 Oltre che sul piano civilistico e negoziale, un
siffatto atto pubblico ad “efficacia variabile” susciterebbe perplessità anche
in ordine all’integrazione del reato di “uso di atto falso” contemplato
dall’art. 489 c.p., fattispecie questa che consegue all’utilizzo che chiunque,
senza essere concorso nella falsità (che si presuppone già consumata – Cass.
pen., sez. II, 19ottobre 1981, n. 1978), faccia dell’atto falso.
5.16 Dall’insieme di considerazioni che precedono
consegue che allo statuto sostanziale di rilevanza assoluta dell’atto pubblico
deve coniugarsi uno statuto processuale di analoga forza, in quanto l’opponibilità
della sentenza che accerta la genuinità dell’atto incide direttamente
sull’indefettibile valenza probatoria erga omnes del documento.
5.17 Ed è inevitabile, pertanto, che i terzi, così
come beneficiano della pubblicità dell’atto, pure se non ne sono stati parti,
così non ne possano più beneficiare se quella pubblicità viene meno, senza
poterla far rivivere o cessare a propria scelta.
5.18 In conclusione, deve ritenersi che lo statuto di
rilevanza di un atto o documento è direttamente condizionato dal regime di
opponibilità del giudicato che ne accerta la genuinità, sicché risulta
contraddittorio predisporre un regime sostanziale di generale efficacia del
documento e, al contempo, limitare la statuizione che ne riconosce l’eventuale
falsità entro i circoscritti limiti del contraddittorio instaurato con le parti
del giudizio penale (sul punto convengono C. Conti reg. Veneto, sez.
giurisd.,10 gennaio 2007, n. 3 e 08 settembre 2006, n. 835; C. Conti reg.
Emilia Romagna, sez. giurisd., 13 aprile 2005, n. 410; id., 12 febbraio 2004,
n. 231 e 23 maggio 2003 n.1333; C. Conti Sezione I centr. 82/2000).
5.19 Da quanto esposto e da una generale esigenza di
interpretazione delle norme che vada nel senso di farne salvo l’effetto utile
sostanziale, si trae conferma del fatto che la statuizione disciplinata
dall’art. 537 c.p.p. ha natura accessoria ma distinta dall’accertamento
condotto sul factum criminis, e che quindi ad essa si annettono regole
di opponibilità distinte da quelle contemplate dall’art. 654 c.p.p..
5.20 Ulteriori dati sistematici inducono ad avvalorare
tale conclusione, ed in particolare le indicazioni ricavabili dagli artt. 221,
1° comma, e 226 e 227 c.p.c., laddove il primo – secondo unanime
interpretazione dottrinaria - preclude la proposizione della querela di falso
ove la verità (o falsità) del documento sia stata accertata con sentenza
passata in giudicato, tanto civile quanto penale, indipendentemente dal fatto
che la stessa sia stata pronunciata o meno tra le parti in causa; mentre gli
artt. 226 e 227 c.p.c. impongono, nel caso di sentenza di accertamento del
falso, adottata in accoglimento della querela ex art. 221 c.p.c., l’adozione
delle misure esecutive previste dall’art. 480 c.p.p. (ora art. 537 c.p.p.),
così confermando l’equivalenza e il parallelismo tra i due mezzi di
accertamento del falso documentale, che a sua volta fornisce riscontro di
quell’esigenza di economia processuale, nell’ambito dei rapporti tra giudizio
penale e civile di falso, che è sottesa, unitamente all’esigenza di tutela
della fede pubblica, alla ratio dell’art. 537 c.p.p..
5.21 Infine, la valenza generalizzata
dell’accertamento di falsità ex art. 537 c.p.p. non pare in alcun modo
contraddetta dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 304/2011, resa in
esito alla questione di legittimità costituzionale sollevata nel corso di
questo procedimento giudiziario dal Consiglio di Stato con ordinanza n.
1000/0211.
Il tema preso in esame dalla Corte riguardava,
infatti, l’accertamento incidentale di falso, attivabile su impulso di parte in
occasione e in funzione di un giudizio principale condizionato dalla rilevanza
probatoria del documento.
La statuizione sulla falsità del documento ex art. 537
c.p.p., per converso, esula dal perimetro della problematica indagata dal
giudice di legittimità, trattandosi di giudizio privo del descritto carattere
di incidentalità e del tutto estraneo al novero degli strumenti attivabili
dalla parte privata.
Come noto - il giudizio penale è promuovibile
unicamente dalla parte pubblica, non è strumentale a interessi privati e ha
carattere meramente accidentale, potendo prendere avvio secondo fattori
imponderabili e del tutto sottratti alle scelte della parte privata.
Per quanto più conta, poi, esso non nasce con finalità
“probatorie”, nel senso (qui la sua “non-incidentalità”) che non è concepito
per rilevare in funzione di un altro procedimento (principale), nell’ambito del
quale occorra acquisire certezza di rilevanti elementi probatori documentali.
Ne consegue che la verifica della falsità da parte del
giudice penale – in quanto non destinata a confluire in altro processo ai fini
della definizione della controversia – riguarda il puro “documento”, a
prescindere dalla specifica valenza “probatoria” che ad esso possa ascriversi
in altri contesti processuali.
Da qui la sua estraneità al sistema di definizione
delle questioni “pregiudiziali di falso” preso in esame dalla Corte
Costituzionale.
6.1 Resta da rilevare – sempre sul tema della eccepita
inopponibilità della statuizione ex art. 537 c.p.p. - che gli odierni
controinteressati non adducono le ragioni concrete che avrebbero reso il loro
intervento nel giudizio penale rilevante ai fini dell’accertamento della
falsità dei documenti.
6.2 Sul punto è d’uopo osservare – non dopo avere
premesso che la parte civile è chiamata ad interloquire nel processo penale
sulla domanda risarcitoria conseguente alla condotta incriminata, coltivando un
posizione astrattamente concidente con quella della pubblica accusa – che gli stessi
controinteressati hanno beneficiato della facoltà di costituirsi parte civile
nel processo penale e che volutamente non se ne sono avvalsi; né si sono
avvalsi della facoltà, pure prevista dall’art. 537, 3° comma, c.p.p., di impugnare
in via autonoma la pronuncia sulla falsità (Cass. pen., sez. un., 27 ottobre
1999, n. 20).
6.3 Ne consegue che nei loro confronti pare essersi
integrata un’adeguata garanzia di tutela, secondo i parametri fissati dalla
pronuncia della Corte Costituzionale n.
55 del 22 marzo 1971, stando ai quali la relazione di efficacia di una sentenza
si esprime nei confronti di quanti siano stati in grado di partecipare al
processo penale, senza che a ciò debba aggiungersi l’ulteriore condizione di
una loro effettiva partecipazione, che può anche mancare per libera scelta
della parte (nello stesso senso cfr. Cass. Civ. sez. I, 15 settembre 1995,
n. 9770).
6.4 Va respinta, da ultimo, l’argomentazione
incentrata sul 2° comma dell’art. 537 c.p.p. e tendente a sostenere che solo la
cancellazione materiale del documento renderebbe la pronuncia di falsità
opponibile erga omnes. Il 2° comma, infatti, è disposizione riferita non
all'effetto generalizzato dell'accertata falsità degli atti o dei documenti,
bensì ai provvedimenti riparatori di rilevanza meramente esecutiva che
conseguono alla privazione di efficacia del documento (cancellazione,
ripristino, rinnovazione o riforma dell'atto o documento).
Mentre, infatti, la dichiarazione di falsità (537 1°,
comma) inerisce all’efficacia giuridica del documento, la misura
ripristinatoria (537, 2° comma) attiene alla sua materiale esistenza, ma è bene
ribadire che è già dalla prima che deriva la privazione di efficacia giuridica
del documento.
6.5 Ancora, dalla lettura combinata degli artt. 537,
2° comma, c.p.p. e 675 c.p.p., si evince che mentre la dichiarazione di falsità
costituisce una conseguenza necessaria dell'accertamento di essa, i
provvedimenti c.d. riparatori, volti a realizzare la restitutio in pristinum
dell'atto o del documento su cui è caduta la falsificazione, hanno invece
carattere soltanto eventuale. Gli stessi sono pensati per rimediare ad
eventuali omissioni occorse nella fase cognitiva e vengono adottati in stretta
esecuzione dell’accertamento contenuto in sentenza, con un rito semplificato,
senza attività istruttorie supplementari e senza possibilità da parte del
giudice che le adotti di riesaminare il materiale probatorio acquisito, per
pervenire ad un autonomo giudizio difforme dalle statuizioni adottate sul punto
nel procedimento di cognizione (Cass. pen. sez. I, 13 marzo 2000; id., sez. V,
14 novembre 2001, n. 2671). Non vi è margine giuridico, quindi, per attribuire
alle misure esecutive una valenza di integrazione o implementazione
dell’accertamento del falso documentale, dalla quale possa farsi dipendere la
portata della statuizione di falsità contenuta in sentenza.
7. Per tutto quanto fin qui esposto, ritenuta
l’equivalenza e la pari efficacia assoluta della declaratoria di falso ex art.
537 c.p.p. e di quella emessa su querela di falso ex art. 221 c.p.c., in quanto
entrambe risolutive della questione pregiudiziale di falso demandata dall’art.
8 c.p.a. all’autorità giudiziaria ordinaria, deve concludersi che le parti
ricorrenti hanno correttamente riassunto il presente giudizio, una volta
intervenuto il giudicato penale e cessata, quindi, la causa di sospensione, in
conformità alle prescrizioni dettate in materia dall’art. 80 c.p.a..
8. Resta da esaminare il tema delle conseguenze
invalidanti delle illegittimità emerse.
8.1 Sostengono le difese dei controinteressati che,
alla stregua della normativa che disciplina le modalità di espressione del voto
nelle consultazioni regionali, disciplinate dall'art. 2 della legge n. 43 del
1995, ove anche dovesse ipotizzarsi l'annullamento dell'ammissione della lista
"Pensionati per Cota", nondimeno, tutti i voti espressi al Presidente
collegato resterebbero validi.
8.2 Ai sensi dell’art. 2, “l'elettore esprime il
suo voto per una delle liste provinciali tracciando un segno nel relativo
rettangolo, e può esprimere un voto di preferenza scrivendo il cognome, ovvero
il nome e cognome di uno dei candidati compresi nella lista stessa. L'elettore
esprime il suo voto per una delle liste regionali anche non collegata alla lista
provinciale prescelta e per il suo capolista tracciando un segno sul simbolo
della lista o sul nome del capolista. Qualora l'elettore esprima il suo voto
soltanto per una lista provinciale il voto si intende validamente espresso
anche a favore della lista regionale collegata”.
8.3 Argomentando sul punto, i controinteressati
pongono in particolare rilievo il contenuto dell’ultimo periodo dell’art. 2,
secondo cui, qualora l'elettore esprima il suo voto soltanto per una lista
provinciale, detto voto si intende validamente espresso anche a favore della
lista regionale collegata. Ne ricavano, quindi, che anche in caso di
annullamento dell'ammissione della lista "Pensionati per Cota" i voti
espressi a favore della sola lista annullata ed automaticamente computati a
favore del pres. Cota, ai sensi dell'art. 2 della legge n. 43 del 1995,
resterebbero validamente assegnati a quest’ultimo.
8.4 A supporto di tale tesi sottolineano che il
meccanismo delineato dalla norma consente all'elettore di esprimere due voti
concettualmente diversi, uno per la lista provinciale ed uno per la collegata
lista regionale; sicché l’eventuale invalidità del voto espresso in favore di
una lista illegittimamente ammessa alla competizione elettorale non si
propagherebbe al voto espresso per la lista regionale (e quindi per il
candidato presidente).
E ciò in asserita osservanza della presunzione di
riconducibilità della preferenza alla volontà dell’elettore, che fa sì che si
debba attribuire il massimo significato possibile all’espressione di voto.
8.5 Il Collegio ritiene di non potere aderire
all’impostazione in commento.
Essa trova smentita nella consolidata giurisprudenza
che ha affrontato il tema prendendo costantemente le mosse dalla considerazione
preliminare secondo cui la fattispecie in esame non pone un problema di
“estensione” (praeter legem, secondo i controinteressati) dei vizi dei
voti da una lista provinciale a quella regionale, bensì un problema di verifica
della possibile perniciosa incidenza degli stessi vizi sull’andamento della
consultazione elettorale nel suo insieme. Si è detto, infatti, che i voti
assegnati ad una lista illegittimamente ammessa non possono essere considerati
alla stregua di voti nulli o illegittimamente assegnati, bensì restano
ontologicamente voti incerti, costituendo un mero coefficiente di aleatorietà
che aleggia sul dato elettorale e che è impossibile rideterminare e correggere ex
post (cfr. T.A.R.
Molise. Sez. I, 28 maggio 2012, n.224).
L'influenza che trae origine dal collegamento politico
tra le liste si esercita, infatti, principalmente sulla formazione della
volontà dell'elettore, quali che siano le modalità in cui il suo voto
individuale si manifesti (solo per la lista provinciale, o anche per il
relativo candidato presidente).
8.6 È da dirsi, quindi, che il voto espresso in favore
del presidente per un verso risulta indotto, almeno in una sua frazione, dal
fatto che tale candidato fosse espressione di una coalizione di forze
politiche, la partecipazione tra le quali della lista votata (e illegittima)
poteva costituire per l'elettore motivo determinante, molteplici essendo i
fattori aggregativi del consenso elettorale (non determinato, tanto meno per le
elezioni amministrative, soltanto da un metro di astratta "coerenza
politica"); e che, per altro verso, l'eliminazione ex post di una
lista da una competizione elettorale determina un'insuperabile impossibilità di
stabilire a chi quei voti sarebbero andati, non potendosi accertare in quale
modo il comportamento dei suoi elettori sarebbe mutato. Sicché i voti assegnati
ad una lista illegittimamente ammessa sono ontologicamente dei voti incerti,
non potendosi escludere che una diversa configurazione del quadro politico
avrebbe potuto determinare orientamenti di voto ed esiti finali diversi da
quelli registrati.
8.7 Il descritto
effetto perturbatore indotto sull’elettorato dalla presenza della lista non
legittimata, è ulteriormente amplificato dal meccanismo del premio di maggioranza introdotto
dall’art. 3 della L. 43/1995 e appare particolarmente evidente nelle ipotesi -
come quella in esame - in cui l’esito della consultazione è deciso da scarti
differenziali assai contenuti. Proprio in questi casi è rilevante - e va tenuto in debita considerazione
anche in fase contenziosa - l’apporto marginale delle liste minori (spesso di
estemporanea formazione), aggregate alla coalizione al preordinato fine di
massimizzarne la capacità ricettiva del consenso.
8.8 Superata l’obiezione della permanenza di validità del
voto, nei termini sin qui esposti, resta da ribadire il principio guida
costantemente affermato dalla giurisprudenza, in ipotesi di illegittima
ammissione di una lista, secondo cui, al fine di una giusta composizione di due
esigenze egualmente fondamentali per l'ordinamento, l'una inerente alla
conservazione - nei limiti del possibile - degli atti giuridici e alla massima
utilizzazione dei relativi effetti, e l'altra inerente alla salvaguardia della
volontà dell'elettore dall'influenza di eventuali cause perturbatrici, bisogna
tener conto della consistenza numerica dei voti espressi a favore della lista
illegittimamente ammessa. Quando essa non sia tale da alterare in modo
rilevante la posizione conseguita dalle liste legittimamente ammesse, piuttosto
che annullarsi integralmente il risultato delle elezioni e disporsi quindi la
rinnovazione di esse, va esercitato il potere di correzione (cfr. Cons. Stato,
V, 23 agosto 2000, n.4586; id., sez. V, 07 marzo 2001, n. 1343; id., sez. V, 18
giugno 2001, n. 3212).
8.9 Si tratta quindi di apprezzare la consistenza
dell’indebito perturbamento o dell’illegittima influenza esercitati sulla
consultazione elettorale dalla presenza della lista che non doveva essere
ammessa e, laddove sia riscontrabile un effetto perturbante tale da alterare in
modo non trascurabile la posizione conseguita dalle liste legittimamente
ammesse, si impone l’annullamento delle elezioni e la rinnovazione del
procedimento elettorale (cfr. Cons. St., sez. V, 10 maggio 1999, n. 535;
id., sez. V, 23 agosto 2000, n.4586 e 7 marzo 2001, n. 1343).
Il che, in definitiva, impone di verificare che la
consistenza numerica dei voti espressi a favore della lista illegittimamente
ammessa sia prevalente rispetto ai voti di scarto tra le due coalizioni più votate.
8.10 Proprio
questo requisito, della necessità di una non trascurabile preponderanza dei
voti ricevuti dalla lista illegittimamente ammessa (15.805) rispetto allo
scarto dei voti registrato tra i due candidati alla presidenza risultati più
votati (9.157), sussiste ampiamente nel caso di specie, ed è un criterio che
può dirsi - per quanto sin qui esposto - costante e pacifico nella
giurisprudenza (cfr., tra le altre, Cons. St., sez. V, 29 ottobre 2012, n.
5504; id., 31 marzo 2012, n. 1889; 20 marzo 2006, n. 1437; 18 giugno 2001, n.
3212; 7 marzo 2001, n.1343; 10 maggio 1999, n. 535).
8.11 A puro titolo di inciso e in
applicazione dei principi sin qui espressi, occorre osservare, infine, che
l’eventuale ammissibilità e fondatezza del ricorso incidentale depositato da
Michele Giovine in data 7 giugno 2012 giammai avrebbe consentito di prefigurare
soluzioni conservative dell’esito elettorale, secondo un criterio di prova di
resistenza che - al netto di tutti i voti invalidi riferiti alle liste
illegittimamente ammesse su entrambi i fronti politici - avesse visto
nuovamente prevalere, sul piano numerico, il presidente Cota.
Ed infatti, una volta acclarato il superamento della
soglia critica costituita dal rapporto tra voti espressi a favore di una lista illegittimamente
ammessa e voti di scarto tra le due coalizioni più votate, la presenza di
ulteriori liste illegittime non farebbe che incrementare ulteriormente
l’effetto perturbatore esercitato sulla consultazione elettorale, rendendone
quindi l’esito a maggior ragione opaco e non suscettibile di interpretazione o
correzione ex post.
8.12 In conclusione, va ritenuto fondata e accoglibile
la domanda formulata dalle ricorrenti in via principale e, una volta stabilito
che la lista provinciale illegittimamente ammessa ha influito in modo
determinante sul risultato elettorale, non può non trarsi la dovuta conseguenza
che da tale illegittima ammissione viene invalidato e travolto tutto il
procedimento elettorale, complessivamente inteso, che va quindi rinnovato.
Va quindi accolta la domanda di annullamento dell’atto
di proclamazione degli eletti, unitamente agli atti presupposti oggetto di
impugnativa, ai fini della rinnovazione della competizione elettorale.
9. Non si ravvisano i presupposti, infine, per l’applicazione
dell’art. 89 c.p.c., invocato dalla parte controinteressata Franchino (pag. 10
memoria avv. Strambi) in relazione ad un capoverso (pag. 23) della memoria di
parte ricorrente, del 24 dicembre 2013, riferito a specifici risvolti in fatto
della vicenda penalistica connessa al presente giudizio.
La sussistenza delle condizioni per la cancellazione
di espressioni sconvenienti e offensive contenute negli scritti difensivi,
prevista dall'art. 89 c.p.c. va infatti ravvisata allorquando le espressioni in
parola siano dettate da un passionale ed incomposto intento dispregiativo e
rilevino, pertanto, un’esclusiva volontà offensiva nei confronti della
controparte (o dell'ufficio) non bilanciata da alcun profilo di attinenza,
anche indiretta, con la materia controversa (Cass. civ., sez. I, 06 luglio 2004
n. 12309; id., sez. III, 06 dicembre 2011, n. 26195).
Nel caso in esame, la formulazione delle espressioni
contestate non pare censurabile sotto il profilo dell’assoluta mancanza di
pertinenza con i temi di causa, né paiono ravvisabili nella stessa accenti di
intonazione volutamente offensiva o spregiativa, gratuitamente intesi a
denigrare la parte.
10. Ai fini della regolamentazione delle spese di lite
si ravvisano giusti motivi di compensazione integrale tra tutte le parti in
giudizio, in considerazione, oltre che della complessità e peculiarità delle
questioni trattate, anche della riscontrata sussistenza, in fatto, di diffusi e
generalizzati profili di irregolarità nello svolgimento della competizione elettorale.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte
(Sezione Prima)
definitivamente pronunciando sul ricorso, come in
epigrafe proposto,
accoglie il ricorso principale, come integrato dai
motivi aggiunti, e per l’effetto annulla l’atto di proclamazione degli eletti,
unitamente agli atti presupposti oggetto di impugnativa, ai fini della
rinnovazione della competizione elettorale.
Dichiara inammissibile il ricorso incidentale.
Compensa integralmente le spese di lite tra tutte le
parti in giudizio.
Manda alla Segreteria di provvedere agli incombenti di
cui all’art. 130, comma 8, c.p.a..
Ordina che la presente sentenza sia eseguita
dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Torino nella camera di consiglio del
giorno 9 gennaio 2014 con l'intervento dei magistrati:
Lanfranco
Balucani, Presidente
Paola
Malanetto, Primo Referendario
Giovanni
Pescatore, Referendario, Estensore
L'ESTENSORE
|
IL
PRESIDENTE
|
|
DEPOSITATA
IN SEGRETERIA
Il
15/01/2014
IL
SEGRETARIO
(Art. 89,
co. 3, cod. proc. amm.)