SENTENZA DELLA CORTE
(Sesta Sezione)
27 febbraio 2003 *
Nel procedimento C-327/00,
avente ad oggetto la domanda di
pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, a
norma dell'art. 234 CE, dal
Tribunale amministrativo regionale per la
Lombardia, nella causa dinanzi ad
esso pendente tra
Santex SpA
e
Unità Socio Sanitaria Locale n.
42 di Pavia,
con l'intervento di:
Sca Mölnlycke SpA,
Artsana SpA
e
Fater SpA,
* Lingua processuale: l'italiano.
I - 1907
SENTENZA 27. 2. 2003 — CAUSA
C-327/00
domanda vertente
sull'interpretazione dell'art. 22 della direttiva del Consiglio
14 giugno 1993,
93/36/CEE, che coordina le procedure di aggiudicazione degli
appalti pubblici
di forniture (GU L 199, pag. 1), e dell'art. 6, n. 2, UE,
LA
CORTE (Sesta Sezione),
composta dal sig. J.-P.
Puissochet, presidente di sezione, dai sigg. R. Schintgen
e V. Skouris (relatore), dalla
sig.ra F. Macken e dal sig. J.N. Cunha Rodrigues,
giudici,
avvocato generale: sig. S. Alber
cancelliere: sig. H.A. Rühi,
amministratore principale
viste le osservazioni scritte
presentate:
— per il governo italiano, dal
sig. U. Leanza, in qualità di agente, assistito dal
sig. M. Fiorilli, avvocato dello
Stato;
— per il governo francese, dalla
sig.ra A. Bréville-Viéville e dal sig. G. de
Bergues, in qualità di agenti;
— per il governo austriaco, dal
sig. H. Dossi, in qualità di agente;
I - 1908
SANTEX
— per la Commissione delle
Comunità europee, dai sigg. M. Nolin e
R. Amorosi, in qualità di agenti,
vista la relazione d'udienza,
sentite le osservazioni orali del
governo italiano, del governo francese e della
Commissione all'udienza del 6
dicembre 2001,
sentite le conclusioni
dell'avvocato generale, presentate all'udienza del 7 febbraio
2002,
ha pronunciato la seguente
Sentenza
1. Con ordinanza 23 giugno 2000,
pervenuta nella cancelleria della Corte il 4 settembre seguente, il Tribunale
amministrativo regionale per la Lombardia ha proposto, a norma dell'art. 234
CE, due questioni pregiudiziali vertenti sull'interpretazione dell'art. 22
della direttiva del Consiglio 14 giugno 1993, 93/36/CEE, che coordina le
procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di forniture (GU L 199, pag.
1), e dell'art. 6, n. 2, UE.
2 Tali questioni sono state
sollevate nell'ambito di una controversia tra la società Santex SpA (in
prosieguo: la «Santex») e l'Unità Socio Sanitaria Locale n. 42 di Pavia (in
prosieguo: l'«USL»), avente ad oggetto una procedura di gara relativa ad un appalto di forniture.
Contesto
normativo
Normativa
comunitaria
3. L'art. 1, n. 1, della
direttiva del Consiglio 21 dicembre 1989, 89/665/CEE, che coordina le
disposizioni legislative, regolamentari e amministrative relative
all'applicazione delle procedure di ricorso in materia di aggiudicazione degli
appalti pubblici di forniture e di lavori (GU L 395, pag. 33), come modificata
dalla direttiva del Consiglio 18 giugno 1992, 92/50/CEE, che coordina le
procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di servizi (GU L 209, pag.
1; in prosieguo: la «direttiva 89/665»), dispone quanto segue:
«1. Gli
Stati membri prendono i provvedimenti necessari per garantire che, per quanto
riguarda le procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici disciplinati
dalle direttive 71/305/CEE, 77/62/CEE e 92/50/CEE (...), le decisioni prese
dalle autorità aggiudicatrici possano essere oggetto di ricorsi efficaci e, in
particolare, quanto più rapidi possibile, secondo le condizioni previste negli
articoli seguenti, in particolare nell'articolo 2, paragrafo 7, qualora violino
il diritto comunitario in materia di appalti pubblici o le norme nazionali che
lo recepiscono».
4. Ai sensi dell'art. 2, n. 1,
lett. b), della direttiva 89/665: «Gli
Stati membri fanno sì che i provvedimenti presi ai fini dei ricorsi di cui
all'articolo 1 prevedano i poteri che permettano di:
(...)
b) annullare o far annullare le decisioni illegittime,
compresa la soppressione delle specificazioni tecniche, economiche o
finanziarie discriminatorie figuranti nei documenti di gara, nei capitolati
d'oneri o in ogni altro documento connesso con la procedura di aggiudicazione
dell'appalto in questione».
5. La direttiva 93/36 ha
abrogato la direttiva del Consiglio 21 dicembre 1976, 77/62/CEE, che coordina
le procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di forniture (GU 1977, L
13, pag. 1). I riferimenti fatti dall'art. 1, n. 1, della direttiva 89/665, in
particolare alla direttiva così abrogata, vanno considerati come fatti alla
direttiva 93/36, a norma dell'art. 33, secondo comma, di quest'ultima.
6.
L'art. 22 della
direttiva 93/36 stabilisce:
«1. In
linea di massima, la prova della capacità finanziaria ed economica del
fornitore può essere fornita mediante una o più delle seguenti referenze:
(...)
c) una dichiarazione del fatturato globale dell'impresa e
del fatturato per le forniture cui si riferisce l'appalto relativo agli ultimi
tre esercizi finanziari.
2. Le amministrazioni precisano, nel bando di gara o
nell'invito a presentare offerte, la referenza o le referenze di cui al
paragrafo 1 da esse scelte, nonché le eventuali altre referenze da presentare.
3. Qualora, per giustificati motivi, non sia in grado di
presentare le referenze richieste dall'amministrazione, il fornitore è ammesso
a provare la propria capacità economica e finanziaria mediante qualsiasi altro
documento che l'amministrazione stessa ritenga appropriato».
Normativa
nazionale
7. L'art. 22 della direttiva
93/36 è stato recepito nell'ordinamento italiano mediante l'art. 13 del decreto
legislativo 24 luglio 1992, n. 358, intitolato «Testo unico delle disposizioni
in materia di appalti pubblici di forniture, in attuazione delle direttive
77/62/CEE, 80/767/CEE e 88/295/CEE» (GURI n. 188 dell'll agosto 1992,
Supplemento ordinario n. 104, pag. 5; in prosieguo: il «decreto legislativo n.
358/1992»). Tale articolo prevede quanto segue:
«1. La
dimostrazione della capacità finanziaria ed economica delle imprese concorrenti
può essere fornita mediante uno o più dei seguenti documenti:
(...)
e) dichiarazione concernente il fatturato globale d'impresa
e l'importo relativo alle forniture identiche a quella oggetto della gara,
realizzate negli ultimi tre esercizi.
2. Le amministrazioni precisano nel bando di gara quali dei
documenti indicati al comma 1 devono essere presentati, nonché gli altri
eventuali che ritengono di richiedere. (...)
3. Se il fornitore non è in grado, per giustificati motivi,
di presentare le referenze richieste, può provare la propria capacità economica
e finanziaria mediante qualsiasi altro documento considerato idoneo
dall'amministrazione».
8. L'art. 36, primo comma, del
regio decreto 26 giugno 1924, n. 1054, contenente il testo unico delle leggi
sul Consiglio di Stato (GURI n. 158 del 7 luglio 1924; in prosieguo: il «regio
decreto n. 1054/1924»), l'applicazione del quale è stata estesa ai tribunali
amministrativi per effetto dell'art. 19 della legge 6 dicembre 1971, n. 1034,
relativa all'«Istituzione dei tribunali amministrativi regionali» (GURI n. 314
del 13 dicembre 1971, pag. 7891), così recita:
«Fuori
dei casi nei quali i termini siano fissati dalle leggi speciali, relative alla materia
del ricorso, il termine per ricorrere al Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
è di giorni 60 dalla data in cui la decisione amministrativa sia stata notificata
nelle forme e nei modi stabiliti dal regolamento, o dalla data in cui risulti
che l'interessato ne ha avuta piena cognizione (...)».
9. L'art. 5 della legge 20 marzo
1865, n. 2248, «Legge sul contenzioso amministrativo» (in prosieguo: la «legge
n. 2248/1865»), è formulato nei seguenti termini:
«In
questo, come in ogni altro caso, le autorità giudiziarie applicheranno gli atti
amministrativi ed i regolamenti generali e locali in quanto siano conformi alle
leggi».
Controversia
principale e questioni pregiudiziali
10. Risulta dall'ordinanza di
rinvio che in data 23 ottobre 1996 l'USL pubblicava nella Gazzetta ufficiale
delle Comunità europee un bando di gara per la fornitura diretta a
domicilio di prodotti assorbenti per l'incontinenza, per l'importo annuo presunto
di ITL 1 067 372 000.
11. Tale bando conteneva una
clausola in base alla quale sarebbero state ammesse alla gara soltanto le
imprese che avessero realizzato «un
fatturato complessivo nell'ultimo triennio almeno triplo, per servizio identico
a quello oggetto della gara, rispetto all'importo annuo presunto posto a base
d'asta» (in prosieguo: la «clausola controversa»).
12. Con lettera 25 novembre 1996
la Santex segnalava all'amministrazione aggiudicatrice che la suddetta clausola
del bando di gara configurava a suo avviso un'indebita restrizione della
concorrenza. Essa precisava che, tenuto conto della recentissima introduzione
di questo tipo di servizio da parte delle aziende sanitarie locali,
l'applicazione della suddetta clausola avrebbe comportato un vantaggio
ingiustificato a favore dell'impresa che aveva vinto l'appalto in occasione
della precedente procedura di gara, nonché l'esclusione di numerosi concorrenti,
tra i quali anche la ricorrente, malgrado quest'ultima avesse raggiunto
nell'ultimo anno un fatturato complessivo pari al doppio dell'importo annuo
presunto della fornitura oggetto dell'appalto.
13. In seguito a tali rilievi,
l'USL rinviava la valutazione delle offerte e chiedeva agli offerenti l'invio
di documentazione integrativa, affermando che la clausola controversa poteva
interpretarsi come riferita al fatturato complessivo delle imprese interessate.
Il fatturato relativo alle forniture di prodotti identici a quelli oggetto
dell'appalto in questione sarebbe stato considerato non come un requisito di
ammissione alla gara, bensì soltanto come un criterio utile ai fini della valutazione
della qualità delle offerte.
14. Tale interpretazione veniva
contestata dalla ditta Sca Mölnlycke SpA (in prosieguo: la «Mölnlycke»), che
aveva ottenuto l'appalto relativo alla fornitura di prodotti identici per il
periodo precedente. Tale impresa inviava una lettera alla USL, pretendendo il
puntuale rispetto della clausola controversa.
15. Con lettera 24 gennaio 1997
l'USL, accogliendo implicitamente il suddetto rilievo della Mölnlycke,
richiedeva nuovamente agli offerenti di comunicarle il fatturato da essi
realizzato per forniture di prodotti identici a quelli oggetto dell'appalto in questione,
nonché l'elencazione delle aziende sanitarie alle quali tali prodotti erano
stati forniti.
16. Il 20 febbraio 1997 l'USL
adottava una decisione che escludeva dalla procedura di gara tutte le imprese
che non soddisfacevano il requisito economico enunciato dalla clausola
controversa, fra le quali la Santex (in prosieguo: la «decisione di esclusione»).
Con decisione 8 aprile 1997 (in prosieguo: la «decisione di aggiudicazione»)
l'appalto veniva aggiudicato alla Mölnlycke.
17. La Santex, ritenendo che,
qualora fosse stata ammessa alla gara, avrebbe ottenuto l'aggiudicazione
dell'appalto, proponeva dinanzi al Tribunale amministrativo regionale per la
Lombardia un ricorso diretto a ottenere l'annullamento, in particolare, della
decisione di esclusione nonché della decisione di aggiudicazione e del bando di
gara per violazione di legge ed eccesso di potere. Inoltre essa chiedeva, a
titolo di provvedimenti provvisori, la sospensione dell'esecuzione degli atti
così impugnati.
18. L'USL e la Mölnlycke,
costituitasi in giudizio nella causa principale, eccepivano la tardività
dell'impugnazione del bando di gara. Orbene, solamente il suddetto bando
avrebbe arrecato un pregiudizio diretto alla Santex impedendole di partecipare
alla procedura di gara.
19. Con ordinanza cautelare 29
maggio 1997 il Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia disponeva la
sospensione dell'esecuzione degli atti impugnati. Esso affermava che, anche a
ritenere tardiva l'impugnazione del bando di gara, si sarebbe dovuto procedere
in ogni caso alla disapplicazione della clausola controversa a motivo della
violazione dei principi comunitari in materia di concorrenza.
20. Con ordinanza 29 agosto 1997
il Consiglio di Stato italiano annullava la suddetta
ordinanza del giudice a quo.
21. Dopo la conclusione del
procedimento cautelare, l'USL stipulava con la
Mölnlycke il contratto.
22. Il Tribunale amministrativo
regionale per la Lombardia, al quale il Consiglio di Stato ha rinviato il
fascicolo ai fini della definizione nel merito, sostiene, nell'ordinanza di
rinvio, che la clausola controversa limita il diritto d'accesso alla gara in
violazione dell'art. 22 della direttiva 93/36, testualmente ripreso dall'art.
13 del decreto legislativo n. 358/1992.
23. Il giudice a quo osserva in
particolare che la detta clausola viola i principi di proporzionalità e di non
discriminazione, in quanto eccede le esigenze di verifica della capacità
economica e finanziaria degli offerenti. Tale clausola concederebbe in tal modo
un privilegio ingiustificato in favore delle imprese dominanti del mercato, in
danno di quanti siano in grado di documentare aliunde la propria affidabilità.
24. Il suddetto giudice
considera tuttavia di dover preliminarmente statuire in ordine all'eccezione di
irricevibilità sollevata dall'USL e dalla Mölnlycke. A tale proposito esso
rileva che se fosse vero che la clausola controversa ha impedito alla Santex di
partecipare alla gara sin dalla fase del bando di gara, bisognerebbe concludere
che tale clausola avrebbe dovuto essere impugnata nel termine di 60 giorni
dalla data in cui la Santex ne ha avuto conoscenza, come previsto dall'art. 36
del regio decreto n. 1054/1924.
25. Il giudice a quo rileva
che, fondandosi sull'art. 5 della legge n. 2248/1865, il Consiglio di Stato ha
affermato, in via generale, che il giudice amministrativo può — al pari del
giudice ordinario — disapplicare la norma regolamentare contrastante con una
fonte sovraordinata e incidente su un diritto soggettivo.
26. Tuttavia, risulterebbe dalla
giurisprudenza costante del Consiglio di Stato in materia di appalti pubblici
che gli atti immediatamente lesivi del diritto di partecipazione alla gara
debbono essere impugnati nell'ordinario termine di decadenza di 60 giorni,
superato il quale non si configura alcuna ulteriore possibilità di
disapplicazione degli stessi bandi o di loro clausole.
27. Orbene, il giudice a quo
sostiene che il principio di cui all'art. 5 della legge n. 2248/1865 dovrebbe
applicarsi anche alle clausole contenute in un bando di appalto pubblico che
sono in contrasto con il diritto comunitario. Il detto giudice afferma che, al
fine di assicurare l'effettività della tutela giurisdizionale dei diritti garantiti
dall'ordinamento giuridico comunitario, esso deve avere la possibilità di disapplicare
la clausola controversa, a prescindere dall'osservanza delle norme processuali
nazionali.
28. Secondo il giudice a quo, i
fatti della causa principale appaiono tali da legittimare un diniego di
applicazione della clausola controversa, conformemente alla tesi esposta al
punto precedente. Da un lato, esso rileva che l'USL fece intendere alla Santex
che la clausola controversa sarebbe stata interpretata in modo restrittivo ovvero
riformulata nel corso della procedura di gara. In tal modo l'USL avrebbe creato
una situazione di incertezza pregiudizievole ai fini della tempestiva impugnazione
e reso così eccessivamente difficile, se non impossibile, l'applicazione del
diritto comunitario alla procedura di aggiudicazione dell'appalto di forniture
di cui trattasi nella causa principale.
29. Dall'altro, il suddetto
giudice afferma che la valutazione dell'illegittimità degli atti impugnati
nella causa principale è funzionale all'interesse dell'amministrazione, che è
quello di aprire la gara al maggior numero di concorrenti possibile.
30. Il Tribunale amministrativo
regionale per la Lombardia ritiene peraltro utile esaminare questa problematica
alla luce della tutela giurisdizionale dei diritti fondamentali sancita dagli
artt. 6 e 13 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti
dell'uomo e delle libertà fondamentali.
31. Alla luce di tutto quanto
sopra considerato, il Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia ha
deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti
questioni pregiudiziali:
«1) Se l'art. 22 della direttiva
93/36/CEE del 14.6.1993 sia interpretabile nel senso che le competenti
giurisdizioni nazionali siano obbligate a tutelare i cittadini dell'Unione lesi
da atti adottati in violazione del diritto comunitario, ricorrendo in
particolare all'istituto della disapplicazione previsto dall'art. 5 della legge
nazionale 20.3.1865, n. 2248, anche nei confronti delle clausole del bando di
gara contrastanti con il diritto comunitario, ma non impugnate entro i brevi
termini di decadenza previsti dal diritto processuale nazionale per applicare
ex ufficio il diritto comunitario, ogni volta che possa essere riscontrato che,
da una parte, l'applicazione di quest'ultimo sia stata gravemente impedita o
comunque difficoltata e, dall'altra, ricorra un interesse pubblico di matrice
comunitaria o nazionale che tale applicazione giustifichi.
2) Se alla stessa conclusione
conduca l'art. 6, n. 2, UE che, nel codificare il rispetto da parte dell'Unione
dei diritti fondamentali garantiti dalla Convenzione europea per la
salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, ha fatto
proprio il principio dell'effettività della tutela giurisdizionale stabilito
dagli artt. 6 e 13 della stessa Convenzione».
Sulla
prima questione
Osservazioni
presentate alla Corte
32. Il Governo italiano
rileva che è il principio della certezza del diritto quello che giustifica
l'inoppugnabilità di un bando di gara una volta che sono decorsi oltre 60
giorni dalla sua pubblicazione. In caso contrario, verrebbe arrecato pregiudizio
alle legittime aspettative dei concorrenti convinti della regolarità della gara
di appalto.
33. Richiamando la
giurisprudenza della Corte secondo cui, in mancanza di una disciplina
comunitaria, spetterebbe all'ordinamento giuridico di ciascuno Stato membro
stabilire le modalità procedurali dei ricorsi giurisdizionali intesi a garantire
la tutela dei diritti spettanti ai singoli in forza delle norme di diritto comunitario
aventi effetto diretto, il governo italiano afferma che la normativa nazionale
in questione nella causa principale soddisfa le condizioni stabilite dalla suddetta
giurisprudenza. Esso nota, in particolare, che l'ordinamento italiano non effettua
alcuna discriminazione, poiché qualsiasi violazione di una norma — sia nazionale
che comunitaria — ad opera di un atto amministrativo può comportare l'annullamento
di tale atto, e che nessun ostacolo impedisce l'effettiva applicazione del
diritto comunitario.
34. Il Governo italiano sostiene
altresì che ove si consentisse al giudice nazionale, nel caso in cui l'atto
illegittimo sia impugnato per violazione del diritto comunitario, di
disapplicare le norme processuali nazionali, ciò porterebbe ad
un'ingiustificata differenziazione della tutela dei diritti dei singoli a
seconda che tali diritti derivino dal diritto comunitario o dal diritto
interno.
35. Il Governo francese ritiene
che un giudice nazionale non sia obbligato a verificare d'ufficio la compatibilità
di un atto di diritto interno con una norma comunitaria, nel caso in cui l'atto
suddetto non sia stato impugnato entro il termine previsto dalle norme di
procedura nazionali.
36. Le norme di decadenza di cui
trattasi nella causa principale costituirebbero norme di ordine pubblico, che
debbono essere osservate dalle parti e dal giudice nazionale. In particolare,
il termine di decadenza di 60 giorni sarebbe diretto ad applicare il principio
della certezza del diritto circoscrivendo e limitando nel tempo la facoltà di
impugnare le clausole di un bando di gara. Tale termine non renderebbe
praticamente impossibile od eccessivamente difficile l'esercizio dei diritti
conferiti dall'ordinamento giuridico comunitario.
37. Secondo il Governo francese, solo
nell'ipotesi in cui l'autorità aggiudicatrice avesse contribuito, con il suo
comportamento, all'inosservanza del termine di decadenza sarebbe configurabile
che all'interessato fosse riconosciuta, oltre alla possibilità di ottenere un
indennizzo per il pregiudizio subito, la facoltà di proporre un ricorso dopo la
scadenza del detto termine. Tuttavia il detto Governo rileva che, nella
fattispecie della causa principale, la Santex non poteva ignorare la necessità
di introdurre nei termini, a titolo precauzionale, un ricorso avverso il bando
di gara d'appalto controverso nella causa principale, pur continuando le sue
discussioni con l'autorità aggiudicatrice.
38. Il governo austriaco ritiene
che con la prima questione pregiudiziale il giudice a quo intenda stabilire se
le norme comunitarie in materia di appalti pubblici ostino all'applicazione di
norme di diritto nazionale a carattere preclusivo. Esso ne deduce che occorre
far riferimento alla direttiva 89/665.
39. Dato che tale direttiva non
conterrebbe alcuna norma che subordini la presentazione di ricorsi relativi a
procedure di aggiudicazione di appalti pubblici a termini di decadenza, gli
Stati membri potrebbero disciplinare tale materia alla duplice condizione che
gli obiettivi della detta direttiva non siano elusi e che siano rispettati i
principi di effettività e di parità di trattamento sanciti dal Trattato CE.
40. Il Governo austriaco
aggiunge che le norme nazionali di cui trattasi nella causa principale hanno
per effetto non solo di accelerare il procedimento di gara, ma anche quello di
ridurre il rischio di abuso di ricorsi, favorendo la tutela dei diritti degli offerenti
nel loro complesso. Tali norme non arrecherebbero alcun pregiudizio ai principi
di effettività e di parità. Pertanto, la direttiva 89/665 non osterebbe
alla loro applicazione.
41. Riguardando la controversia
della causa principale un appalto pubblico, anche secondo la Commissione
occorre esaminare la prima questione alla luce della direttiva 89/665.
42. A tale proposito, essa
rileva che la suddetta direttiva prevede l'obbligo per gli Stati membri di
provvedere affinché le decisioni delle amministrazioni aggiudicatrici possano
formare oggetto di ricorsi efficaci e rapidi che permettano di annullarle
qualora illegittime, indipendentemente dal fatto che una decisione precedente
sia stata o meno impugnata nei termini previsti. Orbene, i provvedimenti di
esclusione e di aggiudicazione costituirebbero decisioni dell'autorità
aggiudicatrice nel senso fatto proprio dalla direttiva.
Giudizio
della Corte
43. A titolo preliminare occorre
rammentare che, come rilevato ai punti 22 e 23 della presente sentenza, il
giudice a quo ritiene accertato che la clausola controversa sia incompatibile
sia con l'art. 22 della direttiva 93/36 che con l'art. 13 del decreto
legislativo n. 358/1992.
44. Tuttavia, come precisato
nell'ordinanza di rinvio, il suddetto giudice non può dichiarare ricevibile il
ricorso della causa principale se applica le norme processuali nazionali in
forza delle quali, una volta decorso il termine previsto per l'impugnazione di
un bando di gara, sono irricevibili anche tutti i motivi di diritto che sono
stati dedotti in ordine all'asserita illegittimità di tale bando al fine di
contestare un altro provvedimento dell'autorità aggiudicatrice.
45. Inoltre, risulta
dall'ordinanza di rinvio che il Tribunale amministrativo regionale per la
Lombardia considera che il comportamento dell'autorità aggiudicatrice nella
causa principale ha reso impossibile o eccessivamente difficile l'esercizio dei
diritti conferiti dall'ordinamento giuridico comunitario all'offerente leso
dalla clausola controversa.
46. Risulta dunque che il
giudice a quo chiede che gli sia chiarito se, alla luce di quanto esposto, sia
tenuto in forza del diritto comunitario, a disapplicare le norme nazionali di
decadenza, al fine di dichiarare ricevibile il motivo relativo a una violazione
del diritto comunitario da parte della clausola controversa, addotto a sostegno
dell'impugnazione di decisioni successivamente adottate dall'autorità
aggiudicatrice sulla scorta di tale clausola.
47. Orbene, occorre rilevare al
riguardo che la direttiva 93/36 non disciplina le forme di controllo
giurisdizionale delle decisioni adottate nell'ambito delle procedure di aggiudicazione
di appalti pubblici, ma che si tratta di materia disciplinata unicamente dalla
direttiva 89/665. Quest'ultima stabilisce i requisiti minimi che le procedure
d'impugnazione previste dagli ordinamenti giuridici nazionali devono rispettare
per garantire l'osservanza delle disposizioni comunitarie in materia di appalti
pubblici.
48. Alla luce delle
considerazioni che precedono, la prima questione va intesa come diretta a
stabilire, in sostanza, se la direttiva 89/665 debba essere interpretata nel senso
che essa — una volta accertato che un'autorità aggiudicatrice con il suo comportamento
ha reso impossibile o eccessivamente difficile l'esercizio dei diritti
conferiti dall'ordinamento giuridico comunitario a un cittadino dell'Unione leso
da una decisione di tale autorità — impone ai giudici nazionali competenti
l'obbligo di dichiarare ricevibili i motivi di diritto basati sull'incompatibilità
del bando di gara con il diritto comunitario, dedotti a sostegno di un'impugnazione
proposta contro la detta decisione, ricorrendo, se del caso, alla possibilità
prevista dal diritto nazionale di disapplicare le norme nazionali di decadenza
in forza delle quali, decorso il termine per impugnare il bando di gara, non è
più possibile invocare una tale incompatibilità.
49. Per rispondere alla
questione così riformulata, occorre rammentare che la Corte ha già avuto
occasione di pronunciarsi in via generale sulla compatibilità con la direttiva 89/665
di norme nazionali che prevedono termini di decadenza per le impugnazioni
avverso decisioni delle autorità aggiudicatrici di cui alla detta direttiva.
50. Infatti, al punto 79 della
sentenza 12 dicembre 2002, causa C-470/99, Universale-Bau e a. (Racc. pag.
I-11617), la Corte ha statuito che la direttiva 89/665 non osta ad una
normativa nazionale la quale preveda che qualsiasi ricorso avverso una
decisione dell'amministrazione aggiudicatrice vada proposto nel termine
all'uopo previsto e che qualsiasi irregolarità del procedimento di aggiudicazione
invocata a sostegno di tale ricorso debba essere sollevata nel medesimo
termine, a pena di decadenza, di modo che, scaduto tale termine, non è più
possibile impugnare tale decisione o eccepire la suddetta irregolarità, a condizione
che il termine in parola sia ragionevole.
51. In particolare, la Corte ha
constatato che, sebbene spetti all'ordinamento nazionale di ogni Stato membro
definire le modalità relative al termine di ricorso destinate ad assicurare la
salvaguardia dei diritti conferiti dal diritto comunitario ai candidati e agli
offerenti lesi da decisioni delle amministrazioni aggiudicatrici, tali modalità
non devono mettere in pericolo l'effetto utile della direttiva 89/665, la
quale è intesa a garantire che le decisioni illegittime di tali amministrazioni
aggiudicatrici possano essere oggetto di un ricorso efficace e quanto più
rapido possibile (sentenza Universale-Bau e a., cit., punti 71, 72 e 74).
52. È in tale contesto che la
Corte ha rilevato che la fissazione di termini di ricorso ragionevoli a pena di
decadenza risponde, in linea di principio, all'esigenza di effettività
derivante dalla direttiva 89/665, in quanto costituisce l'applicazione
del principio della certezza del diritto (sentenza Universale-Bau e a., cit.,
punto 76).
53. Si deve pertanto verificare
se il termine di decadenza di cui trattasi nella causa principale risponda alle
esigenze della direttiva 89/665, come elaborate dalla giurisprudenza ricordata
ai punti 50-52 della presente sentenza.
54. A tale proposito occorre
rilevare, da un lato, che il termine di decadenza di 60 giorni applicabile in
materia di appalti pubblici in forza dell'art. 36, n. 1, del regio decreto n.
1054/1924, come interpretato dal Consiglio di Stato, risulta ragionevole sotto
il profilo sia dell'obiettivo della direttiva 89/665 sia del principio della
certezza del diritto.
55. Dall'altro, occorre
constatare che un tale termine, che decorre dalla data di notifica dell'atto o
dalla data in cui risulta che l'interessato ne ha avuto piena conoscenza, è
conforme anche al principio d'effettività, in quanto non è idoneo, di per sé, a
rendere praticamente impossibile o eccessivamente difficile l'esercizio dei
diritti eventualmente riconosciuti all'interessato dal diritto comunitario.
56. Tuttavia, ai fini
dell'applicazione del principio d'effettività, ciascun caso in cui si pone la
questione se una norma processuale nazionale renda impossibile o eccessivamente
difficile l'applicazione del diritto comunitario dev'essere esaminato tenendo
conto, in particolare, del ruolo di detta norma nell'insieme del procedimento,
nonché dello svolgimento e delle peculiarità di quest'ultimo (v. sentenza 14
dicembre 1995, causa C-312/93, Peterbroeck, Racc. pag. I-4599, punto 14).
57. Pertanto, se un termine di
decadenza come quello della causa principale non è, di per sé, contrario al
principio di effettività, non si può escludere che, nelle particolari
circostanze della causa sottoposta al giudice a quo, l'applicazione di tale
termine possa comportare una violazione del detto principio.
58. In tale prospettiva, occorre
prendere in considerazione il fatto che, nel caso di specie, sebbene la
clausola controversa sia stata portata a conoscenza degli interessati all'atto
della pubblicazione del bando di gara, l'autorità aggiudicatrice, con il suo
comportamento, ha creato uno stato d'incertezza in ordine all'interpretazione
da dare a tale clausola e che
questa incertezza è stata dissipata solo con l'adozione della decisione di
esclusione.
59. Infatti, come risulta dalle
informazioni fornite dal giudice a quo, l'USL all'inizio ha lasciato intendere
che avrebbe tenuto conto delle riserve espresse dalla Santex e che non avrebbe
applicato nella fase dell'ammissione delle offerte il requisito economico di
cui alla clausola controversa. Soltanto con la decisione di esclusione, che ha
estromesso dalla procedura di gara tutti gli offerenti che non rispondevano al
detto requisito, l'autorità aggiudicatrice ha espresso la sua posizione
definitiva sull'interpretazione della clausola controversa.
60.
Si deve
pertanto riconoscere che, nella fattispecie principale, l'offerente leso ha
potuto conoscere l'effettiva
interpretazione della detta clausola del bando di gara da parte dell'autorità
aggiudicatrice soltanto quando è stato informato della decisione di esclusione.
Orbene, tenuto conto del fatto che, a quel punto, il termine previsto per
l'impugnazione del detto bando era già scaduto, tale offerente è stato privato,
per effetto delle norme di decadenza, di qualsiasi possibilità di far valere in
giudizio, nei confronti di successive decisioni arrecantigli pregiudizio,
l'incompatibilità di tale interpretazione con il diritto comunitario.
61. Nella fattispecie principale,
si può affermare che il comportamento mutevole dell'autorità aggiudicatrice,
vista l'esistenza di un termine di decadenza, ha reso eccessivamente difficile
per l'offerente leso l'esercizio dei diritti conferitigli dall'ordinamento
giuridico comunitario.
62. Poiché solamente il giudice
a quo è competente a interpretare e applicare la normativa nazionale, spetta ad
esso, in circostanze quali quelle della causa principale, interpretare, per
quanto possibile, le norme che prevedono tale termine di decadenza in modo da
garantire il rispetto del principio di effettività derivante dalla direttiva 89/665.
63. Come risulta dalla
giurisprudenza della Corte, infatti, spetta al giudice nazionale conferire alla
legge nazionale che è chiamato ad applicare un'interpretazione per quanto
possibile conforme ai precetti del diritto comunitario (v., in particolare, sentenze
5 ottobre 1994, causa C-165/91, Van Munster, Racc. pag. I-4661, punto 34, e 26
settembre 2000, causa C-262/97, Engelbrecht, Racc. pag. I-7321, punto 39).
64. Se una tale applicazione
conforme non è possibile, il giudice nazionale ha l'obbligo di applicare
integralmente il diritto comunitario e di tutelare i diritti che questo
attribuisce ai singoli, eventualmente disapplicando ogni disposizione nazionale
la cui applicazione, date le circostanze della fattispecie, condurrebbe a un
risultato contrario al diritto comunitario (v., in particolare, sentenze 5
marzo 1998, causa C-347/96, Solred, Racc. pag. I-937, punto 30, e Engelbrecht,
cit., punto 40).
65. Ne consegue che, in
circostanze quali quelle della causa principale, spetta al giudice a quo
assicurare il rispetto del principio di effettività derivante dalla direttiva
89/665, applicando il proprio diritto nazionale in modo tale da consentire
all'offerente leso da una decisione dell'autorità aggiudicatrice, adottata in
violazione del diritto comunitario, di conservare la possibilità di addurre
motivi di diritto inerenti a tale violazione a sostegno di impugnazioni avverso
altre decisioni dell'autorità aggiudicatrice, ricorrendo, se del caso, alla possibilità,
derivante secondo il suddetto giudice dall'art. 5 della legge n. 2248/1865, di
disapplicare le norme nazionali di decadenza che disciplinano tali
impugnazioni.
66. Sulla scorta delle
considerazioni che precedono, occorre risolvere la prima questione
pregiudiziale dichiarando che la direttiva 89/665 deve essere interpretata nel
senso che essa — una volta accertato che un'autorità aggiudicatrice con il suo
comportamento ha reso impossibile o eccessivamente difficile l'esercizio dei
diritti conferiti dall'ordinamento giuridico comunitario a un cittadino
dell'Unione leso da una decisione di tale autorità — impone ai giudici nazionali
competenti l'obbligo di dichiarare ricevibili i motivi di diritto basati sull'incompatibilità
del bando di gara con il diritto comunitario, dedotti a sostegno di
un'impugnazione proposta contro la detta decisione, ricorrendo, se del caso,
alla possibilità prevista dal diritto nazionale di disapplicare le norme nazionali
di decadenza in forza delle quali, decorso il termine per impugnare il bando di
gara, non è più possibile invocare una tale incompatibilità.
Sulla
seconda questione
67. Tenuto conto della risposta
alla prima questione, non occorre risolvere la seconda.
Sulle
spese
68. Le spese sostenute dai
governi italiano, francese e austriaco, nonché dalla Commissione, che hanno
presentato osservazioni alla Corte, non possono dar luogo a rifusione. Nei
confronti delle parti nella causa principale il presente procedimento
costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta
quindi statuire sulle spese.
Per questi motivi,
LA CORTE (Sesta Sezione),
pronunciandosi sulle questioni
sottopostele dal Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia con
ordinanza 23 giugno 2000, dichiara:
La direttiva del Consiglio 21
dicembre 1989, 89/665/CEE, che coordina le disposizioni legislative,
regolamentari e amministrative relative all'applicazione delle procedure di
ricorso in materia di aggiudicazione degli appalti pubblici di forniture e di
lavori, come modificata dalla direttiva del Consiglio 18 giugno 1992,
92/50/CEE, che coordina le procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici
di servizi, deve essere interpretata nel senso che essa — una volta accertato
che un'autorità aggiudicatrice con il suo comportamento ha reso impossibile o
eccessivamente difficile l'esercizio dei diritti conferiti dall'ordinamento giuridico
comunitario a un cittadino dell'Unione leso da una decisione di tale autorità —
impone ai giudici nazionali competenti l'obbligo di dichiarare ricevibili i motivi di diritto basati
sull'incompatibilità del bando di gara con il diritto comunitario, dedotti
a sostegno di un'impugnazione proposta contro la detta decisione, ricorrendo,
se del caso, alla possibilità prevista dal diritto nazionale di disapplicare le norme nazionali di
decadenza in forza delle quali, decorso il termine per impugnare il bando di
gara, non è più possibile invocare una tale incompatibilità.
Puissochet
Schintgen Skouris
Macken Cunha
Rodrigues
Così deciso e
pronunciato a Lussemburgo il 27 febbraio 2003.
Il cancelliere
R. Grass
Il presidente
della Sesta Sezione
J.-P. Puissochet
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